NOI, SALVINI E GLI ALTRI.

Le osservazioni di taglio differente di alcuni docenti, a commento del mio precedente post, pongono la questione del rapporto tra giovani e politica e anche, ho aggiunto, del ruolo e della necessità dei Maestri.
Il punto è cruciale, a me molto caro (anche per una sorta di deformazione professionale). Ragione che mi ha indotto, negli ultimi due anni e mezzo, a incoraggiare, sostenere e difendere quello che considero il laboratorio politico e culturale giovanile più interessante e sinora riuscito ad Altamura degli ultimi due tre decenni: GIF, Giovani Idee in Fermento.

Mi sono tornate nuovamente alla mente le parole attribuite a Eleonora Pimentel Fonseca prima di essere condotta al patibolo nel 1799: “proprio della democrazia e perciò della vera libertà è rendere i popoli dolci, indulgenti, generosi, magnanimi. All’indulgenza con cui mi avete ascoltata, al generoso favore che colla voce e colle mani mi dimostrate, conosco che Napoli è libera”.

Credo che il compito della didattica e dei maestri sia proprio quello di formare a questo genere di libertà, che impegna ad affrontare l'”inferno dei viventi” nel modo più arduo, spesso doloroso, tra i due segnati da Calvino, vale a dire cercando e sapendo riconoscere “chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. O, per dirla con Danilo Dolci, imparando a “distinguere il buono già vivente, sapendolo godere, sani, senza rimorsi, amore, riconoscersi con gioia”.
È la libertà che deriva dalla conquistata capacità di cogliere e salvare il (poco o tanto di) buono che è in mezzo a noi, di alimentare generosità, di rispettare il lavoro, l’impegno e i limiti altrui.
È questa la libertà, che ci fa essere indulgenti e generosi.

Sarà l’età o, meglio, l’esperienza, non altro che un susseguirsi di pregiudizi superati, di errori e successi, di delusioni e conferme, quindi di orizzonti sempre più larghi, che mi ha fatto acquisire questo dovere, direi urgenza, dell’essere indulgenti, che non significa non vedere i problemi, che non significa essere stupidi, che non significa accettare placidamente che le cose vadano per il verso loro. Nulla di tutto questo.
Significa, come ho già scritto in passato, mettere in conto che il mondo e la realtà sono imperfetti, perché noi siamo imperfetti e nei difetti degli altri scopriamo i nostri difetti.
A questa maturità/libertà si arriva con un lungo percorso, con una scuola e maestri che aprono menti e cuore, come ho avuto la fortuna di incontrarne io, con la cultura e l’esperienza, con curiosità e umiltà, educandosi, giorno dopo giorno, a parole e gesti di simpatia e premura che rinnovano il patto di ognuno col resto della specie umana.

Ecco, detta in altri termini, sono per una “politica dei sentimenti”, che fondano e tengono salde le relazioni, e contro quella che gli esperti di comunicazione chiamano “politica delle emozioni”.
Purtroppo oggi “il suscitare emozioni si va trasformando, da mezzo indispensabile qual era, a obiettivo ultimo (e contenuto unico) della comunicazione persuasiva. In altre parole: ti emoziono (cioè ti impaurisco, ti faccio arrabbiare, ti intenerisco, ti scandalizzo) per convincerti a fare qualcosa, senza neanche prendermi la briga di provare a spiegarti bene che cosa, e perché”. Con certe emozioni, costruite con messaggi e slogan mirati, individuo una platea. “C’è un pubblico della paura e della rabbia. E poi c’è un pubblico del rancore e della rivalsa. C’è un pubblico della diffidenza e della paranoia. E ce n’è uno della tristezza e della disillusione.” Ne deriva che “se il gioco è a chi emoziona di più, qualsiasi appello che conserva una componente razionale non può che risultare perdente rispetto a uno che è solo emozionale”.

Il che significa, tornando al dibattito che si è sviluppato nelle ultime ore, che se affrontiamo i Salvini di turno su questo terreno, sul suo terreno, beh, l’esito è scontato, siamo perdenti! E il problema, lo sottolineo a beneficio di qualche adulto che fa finta di non capire, non è dialogare con i Salvini, ma con quelli (un pezzo importante di popolo?!) in cui i Salvini di turno riescono a suscitare emozioni, sicuramente anche istinti, e da cui una volta la Sinistra riusciva a farsi capire.

Come se ne esce? Provo a sintetizzare un paio di mie riflessioni:
1) La politica deve recuperare l’umiltà a cui facevo riferimento prima, che significa presentarsi non come quelli che sanno tutto e hanno solo risposte e certezze, ma con domande e disponibilità a comprendere le risposte e i bisogni degli altri. Se prendi un pezzo significativo di popolo per decerebrati, ignoranti, coglioni, beh, è normale che non ti ascoltino più, li hai persi definitivamente. Non ha senso poi lamentarsi se poi seguono chi li “accarezza”. Come a scuola: se un ragazzino lo tratti da deficiente, lui non ti ascolterà più e da lui non otterrai più nulla, la partita è chiusa. Non ci sono risposte giuste o sbagliate, ma solo domande giuste e sincere, che sono quelle che portano progresso, conoscenza, comprensione, solidarietà.

2) Il pubblico, una piazza, l’elettorato è ormai una somma di solitudini. Non ci sono blocchi, classi o masse omogenee. Sono pezzi disarticolati, diversi, fragili, incerti. Si trovano in piazza o nella piazza virtuale, ma sono scollegati. Appunto, solitudini. E la solitudine genera e amplifica insicurezze e paure. È necessario dunque ricostruire luoghi e momenti di incontro, superare la “somma di solitudini” a favore della costruzione di comunità, anche piccole. Comunità costruite attorno ad un campetto sportivo, ad una chiesa, ad un bene o attività culturale, attorno ad un progetto di quartiere, attorno ad una biblioteca o museo, ad una scuola, ad una iniziativa sociale, ecc. Questa è stata la traccia di lavoro più importante della mia attività in Regione: costruire luoghi di incontro, di comunità. E l’ho tradotta in diverse norme e misure regionali e in progetti concreti sul territorio: biblioteche di comunità, luoghi identitari, poli per l’infanzia, recupero beni culturali, impianti sportivi, luoghi comuni, luoghi della memoria, progetti scolastici, street art, factory, laboratori urbani, comunità energetiche, ecc.. Perché insieme ci si scopre con analoghe ansie, incertezze ed esigenze, ci sono vicinanza e condivisione e, con queste, un po’ di calore umano, un po’ di sollievo rispetto al carico di difficoltà, solitudini e paure, che sono quelle poi che generano disorientamento, disperazione, dispersione, perdita di riferimenti della propria esistenza e del proprio essere al mondo, fratture in cui i messaggi alla Salvini hanno potuto proliferare.

3) Per Bruno Munari “la rivoluzione va fatta senza che qualcuno se ne accorga”. Aveva ragione. Interpreto il pensiero così. Non urla, saette, proclami, assalti, la rivoluzione è ora riportare tutti alla realtà, sottraendoli al mondo lacerato, incerto, disperato, instabile che ci viene restituito dalla mistura informativa e informatica che ci avvolge.
I primi a compiere questo passo “rivoluzionario” verso la realtà dovrebbero essere i politici che, in buona parte, anziché essere concentrati sui progetti e ben centrati sulla realtà, sono più presi dallo sguardo falsato e frammentato della cittadinanza virtuale, quindi da un’ansia di prestazione consegnata ad un selfie, ad una diretta, ad una battuta ad effetto resa in un’intervista. Così distratti, disperdono energie e capacità decisionale, restano paralizzati dalla ridotta capacità di conoscenza dei problemi e della loro complessità (che invece richiede studio, metodo, concentrazione, umiltà) e dalla mancanza di coraggio, incisività. Così distratti, non comprendono le ragioni delle paure, dell’indifferenza e dell’odio e non sanno modificare le condizioni che generano quelle reazioni. Un circolo vizioso e diabolico. È possibile vincere paure, indifferenza e odio solo riportando tutti alla realtà, alla sua complessità, e recuperando contenuti, progetti, passioni.
E anche inventando una diversa capacità espressiva. Tornando all’ultimo episodio di ieri sera su cui ho scritto e che ha generato riflessioni diffuse, tutto ciò significa abbandonare lo schema azione/reazione, occhio per occhio, slogan contro slogan, abbandonare sospetti, diffidenze, calcoli, rancori… significa fare discorsi alternativi, usare linguaggi alternativi, gentili, argomentati, aperti.

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“Non confondere le chiacchiere col lavoro,
non confondere maldicenza con dialettica,
non profanare incontri con parole superflue.
Non confondere rapporto nonviolento con lasciar fare,
non confondere sicurezza in una istituzione
con sviluppo del fronte democratico,
non confondere amore con gelosia.
Rifiutati a sparare soluzioni:
senza dileguarti, apprendi
a riproporre agli altri le domande.
Rifiuta il disdegnoso volo:
cura fondare il fronte
più necessario
in cui ciascuno cresca.”
(Danilo Dolci)