Referendum sull’elettrodotto coattivo tutte le ragioni per il SI

PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA
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1. Che cos’è l’elettrosmog?

Il principio di cautela o precauzione (ormai acquisito a livello comunitario come principio ispiratore delle politiche di prevenzione) afferma “occorre usare con prudenza e cautela tutte quelle tecnologie che non risultano essere sicuramente innocue, superando il criterio corrente per il quale va ammesso l’utilizzo di processi e prodotti finché non sia dimostrata la loro nocività .”?
Quindi, una moderna legislazione di tutela sanitaria e ambientale inverte l’onere della prova: per intervenire con norme di protezione non occorre dimostrare che un prodotto o una tecnologia è sicuramente dannosa, occorre dimostrare, al contrario, che è sicuramente innocua. A questa impostazione, in linea con la più avveduta ricerca in campo scientifico, sia sperimentale che epidemiologica, si oppone la difesa degli interessi delle imprese (le società  elettriche e delle telecomunicazioni) e delle lobbies che ne difendono gli interessi.
Il problema nasce per i cosiddetti effetti a lungo termine, derivanti dalle esposizioni prolungate anche a basse dosi (per esempio una abitazione che è situata vicino a un elettrodotto o un impianto di radiotrasmissione (ripetitori, radar ecc.). Tali effetti non sono definiti “deterministici”? (ovvero non c’è un rapporto automatico di causa ed effetto per ogni soggetto esposto) ma sono “stocastici”?, cioè rilevati dalle indagini epidemiologiche sulle popolazioni esposte (tali indagini dimostrano un aumento della probabilità  di ammalarsi o contrarre disturbi, anche per esposizioni a dosi centinaia di volte inferiori a quelle stabilite per proteggersi dagli effetti immediati). Da qui, la distinzione tra “effetti acuti”?, ovvero limiti da non superare per qualsiasi tipo di esposizione anche brevissima ed effetti a lungo termine, ovvero limiti da non superare per esposizioni prolungate, al fine di prevenire indesiderati effetti a lungo termine.
Per le basse frequenze (gli elettrodotti), che sono tecnologie usate da più anni, l’indagine epidemiologica ha dimostrato un aumento dell’incidenza di patologie anche gravi quali la leucemia infantile. Tali effetti sono evidenziati dalle indagini più recenti anche dalle più recenti tecnologie legate alle alte frequenze (ripetitori, trasmettitori, ecc.).
Per usare un esempio: nel caso dell’amianto, le prime indagini, pubblicate sulle riviste scientifiche, che dimostravano una correlazione tra l’uso di quel materiale e l’insorgenza di gravi malattie, quale il tumore, risalgono agli anni 30 ma l’intervento legislativo è arrivato solo dopo decenni, con tutte le conseguenze gravissime sulla salute dei lavoratori e dei cittadini.

2. Qual è la situazione legislativa sull’elettrosmog?

La legge quadro (n. 36 del febbraio 2001), prevedeva che entro 60 giorni dalla sua pubblicazione dovessero essere varati i decreti attuativi della medesima, in particolare in relazione all’individuazione dei limiti di esposizione (limiti da non superare in qualsiasi condizione espositiva, ovvero limiti per i cosiddetti effetti acuti), dei valori di attenzione (ovvero limiti da non superare ovunque la popolazione risiede, ovvero limiti per la protezione dai possibili effetti a lungo termine) e degli obiettivi di qualità  (valori per la minimizzazione delle esposizioni, quindi limiti per i nuovi impianti e per il risanamento degli impianti dove si superano i valori di attenzione). Tali decreti dovevano, quindi, essere emanati entro aprile del 2001. I testi erano già  predisposti e prevedevano per gli elettrodotti il valore di attenzione di 0,5 micro tesla e l’obiettivo di qualità  di 0,2 micro tesla; per le alte frequenze si prevedeva l’obiettivo di qualità  di 3 volt metro. Questi decreti non sono stati varati dal governo di centro sinistra malgrado, come detto, i testi avessero già  avuto un via libera da parte delle commissioni parlamentari e il governo si fosse impegnato formalmente, in sede di approvazione finale della legge, a rispettare rigorosamente i tempi previsti.
I poteri, in particolare degli enti locali, di varare regolamenti per la minimizzazione delle esposizioni delle popolazioni si fondano su una serie di riferimenti giuridici. Qui di seguito si citano quelli più specifici:
il comma 1 dell’articolo 4 del decreto 381 del 1998, afferma che gli impianti vanno progettati e realizzati tendendo a minimizzare l’esposizione della popolazione;
le linee guida applicative del medesimo decreto 381 del 1998 chiariscono come il concetto di obiettivo di qualità  (collegato evidentemente a quello di “minimizzazione”? delle esposizioni) implica la possibilità  dell’assunzione di misure di protezione ulteriori, anche se sono già  rispettati i limiti di esposizione e i valori di cautela;
l’articolo 2 bis della legge 189/97, stabilisce che le infrastrutture che generano campi elettromagnetici debbono essere sottoposte ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale (sentenze del Consiglio di Stato precisano come tali procedure debbano essere regolate dalle regioni);
il comma 6 dell’articolo 8 della legge quadro (legge n. 36 del 2001), afferma esplicitamente come i comuni possano dotarsi di regolamenti per il corretto inserimento urbanistico degli impianti e per la minimizzazione delle esposizioni delle popolazioni;
il decreto legge 5 gennaio 2001, n 5 (“Disposizioni urgenti per il differimento dei termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), ha confermato pienamente i poteri degli enti locali in materia urbanistica ed edilizia per quanto riguarda l’installazione degli impianti di telefonia mobile anche ai fini della tutela della salute.
Questi riferimenti normativi, quindi, rappresentano la base giuridica che fonda la possibilità  per i comuni di dotarsi di regolamenti che migliorino le condizioni espositive delle popolazioni residenti. Si tratta, in pratica, di riferirsi al concetto di minimizzazione delle esposizioni che non è, evidentemente, un termine letterario, bensì un concetto presente nella legge e che è responsabilità  delle amministrazioni locali applicare concretamente.

3. Il governo delle destre

Sono gravi le responsabilità  del governo di centro sinistra nel non aver dato attuazione alla legge sull’inquinamento elettromagnetico con il varo dei decreti attuativi. Detto questo, occorre denunciare con grande forza il tentativo messo in atto dalle destre di azzerare ogni normativa di protezione in materia di elettrosmog.
Questi sono gli atti messi in campo dal governo:
tha ritirato i decreti attuativi che il precedente governo aveva predisposto e non varato e ne ha presentato altri che elevano i limiti notevolmente (si passa da 0,2 a 5 microtesla). In tal modo, non ci sarebbe bisogno di risanare alcuna linea elettrica in Italia. I limiti proposti dal governo di destra sono, in pratica, quelli che vogliono le imprese per non spendere neanche una lira per il risanamento e continuare a fare tutto come prima;
tha emanato un decreto legislativo (decreto Gasparri) per impedire alle Regioni e ai Comuni di varare normative e regolamenti che impongano criteri più restrittivi alle imprese per la localizzazioni degli impianti. Questo decreto che, giustamente, è stato definito “libertà  d’antenna”? ha l’obiettivo specifico di bloccare i regolamenti dei comuni e ogni altra iniziativa in sede locale, deregolamenta (per esempio introducendo il principio del silenzio assenso e la possibilità  dell’utilizzo della procedura di inizio di attività ) le norme di autorizzazione. Addirittura, in un articolo, afferma testualmente: “l’operatore di telecomunicazioni incaricato del servizio può agire direttamente in giudizio per far cessare eventuali impedimenti e turbative al passaggio e all’installazione delle infrastrutture.”?
Il significato è semplice ed esplicito: libertà  d’antenna per le imprese. E’ l’affare UMTS (i telefonini di nuova generazione) che preme e chiede una liberazione da ogni condizionamento.
Il messaggio è altrettanto chiaro: tu comitato che ti batti contro una installazione che ritieni dannosa, stai bene attento, ora la tua opposizione può essere considerata “reato di impedimento o turbativa”?. Allo stesso modo, l’avvertimento è per le amministrazioni locali: se vari un regolamento che detta condizioni alle installazioni, da oggi, a giudizio dell’impresa, quello può essere considerato “impedimento o turbativa”? e tu puoi essere direttamente citato in giudizio.
Contro questo decreto, che è una patente violazione delle prerogative delle Regioni e dei comuni, costituzionalmente garantite in materia di governo del territorio, pende il ricorso di molte Regioni (anche governate dal centro destra) .

4. C’entra tutto questo con il referendum proposto sull’elettrosmog?

Si c’entra moltissimo. Con il referendum si propone l’abrogazione di una norma vecchissima, un regio decreto che prevede l’esproprio per il passaggio degli elettrodotti. E’ anche attraverso questa norma che a molti cittadini, associazioni e comitati è impedito di opporsi al passaggio di elettrodotti che corrono troppo vicini alle abitazioni o che deturpano il paesaggio. Ma c’è, ovviamente, un problema di fondo che viene sollevato. Il problema è il chi decide. C’è una linea, quella che il governo delle destre ha preso chiaramente, la quale afferma che l’impresa è il “dominus”? cui tutto va subordinato, anche il diritto alla salute. Coerentemente a questa impostazione, il governo delle destre ha varato il decreto legislativo di cui sopra e che, con il pretesto di accelerare la realizzazione delle infrastrutture, in realtà  ha l’obiettivo di togliere ogni possibilità  di intervento alle comunità  locali, intese sia nel senso di cittadini organizzati in comitati e associazioni sia nel senso di poteri locali. Secondo questa impostazione, l’impresa decide secondo i suoi interessi, fa i progetti, li presenta e il comune ci mette sopra il timbro (anzi, neanche è più necessario quello, perché introduce, in relazione alle richieste delle imprese, il criterio del silenzio assenso).
Attraverso l’abrogazione di quella norma sulla servitù di elettrodotto (regio decreto 11 dicembre del 1933, n. 1775), da un lato si da uno strumento concreto di battaglia ai comitati che si battono contro la costruzione di nuove linee che non rispettino i criteri di tutela ambientale o che passano vicino alle abitazioni, dall’altro si da uno scossone contro la pretesa del governo di affossare la normativa di protezione contro l’elettrosmog e di impedire alle Regioni e ai comuni di tutelare con propri regolamenti l’ambiente e la salute.

5. Alcune domande sull’elettrosmog e il referendum

Se gli scienziati sono divisi e non esiste certezza sui danni dell’elettrosmog, non sarebbe meglio aspettare prima di intervenire con norme di protezione?

Non è vero che la comunità  scientifica è divisa. Il punto non è che esiste una controversia sui danni prodotti dall’elettrosmog. Ciò che ancora non è definito è il nesso di causalità . Si può citare, per riferirsi a documenti ufficiali degli Istituti pubblici, questo brano tratto da un documento dell’Istituto Superiore di Sanità : “Gli studi epidemiologici suggeriscono un’associazione tra l’esposizione residenziale a campi magnetici a 50 Hz, generalmente valutata in modo indiretto, e la leucemia infantile. Il nesso di causalità , tuttavia, non è dimostrata.”? Dire che i risultati di un’indagine non siano ancora conclusivi non vuol dire che siano contrastanti. La correlazione tra l’esposizione e il danno alla salute è dimostrata, quello che va ancora approfondito è il nesso biologico di causa ed effetto. La necessità  di agire è ammessa dallo stesso Istituto Superiore di Sanità  che scrive: “L’esistenza di margini di incertezza non viene negata, ma se ne tiene conto esplicitando il fatto che nella definizione degli standard si sta adottando un atteggiamento di tipo cautelativo. In campo ambientale infatti sono la regola e non l’eccezione le situazioni nelle quali i dati scientifici sono insufficienti per sostenere una conclusione, e nonostante questo una decisione va presa.”?

L’elettrosmog è conseguenza dello sviluppo tecnologico da tutti desiderato. Perché lamentarsi di conseguenze negative estremamente limitate a fronte di progressi tecnologici nelle telecomunicazioni così prodigiosi?

Non si tratta di impedire lo sviluppo delle tecnologie. Il punto del confronto non è quello. Il nodo dello scontro è impedire il “far west”? delle installazioni, ovvero porre delle regole e delle garanzie che tutelino gli interessi collettivi, primi fra tutti la salute e l’ambiente. D’altra parte, anche per altri fattori inquinanti si agisce nella direzione di porre dei vincoli e, perfino, delle limitazioni. Il fumo è causa di tumori ma non tutti coloro che fumano sicuramente si ammalano. Tuttavia sempre più rigidamente si approvano restrizioni (per esempio il divieto di fumare in luoghi pubblici) per salvaguardare la salute collettiva. Analogamente, per il traffico automobilistico, verificato che provoca inquinamento, si pongono dei limiti, superati i quali, vi è il blocco del traffico e, nelle città , le amministrazioni possono stabilire delle restrizioni alla libera circolazione delle autovetture. Per l’elettrosmog , deve avvenire lo stesso. Ferma restando la copertura della rete (e, ormai, il servizio di radiocomunicazione, sia televisivo che della telefonia cellulare, copre l’intero territorio), l’intensificazione del traffico, che è ciò che interessa oggi alle imprese, deve essere sottoposta alle condizioni, stabilite dalle normative nazionali, regionali e dai regolamenti comunali, che la pubblica amministrazione decide per garantire la salvaguardia della salute e dei beni ambientali e paesaggistici.

Perché un referendum sull’elettrosmog, che è un tema così controverso? Non era meglio affrontare altri temi di salvaguardia sanitaria e ambientale?

L’elettrosmog non è una questione marginale. Interessa tutto il Paese e permette di intervenire su un nodo nevralgico dello sviluppo e dell’uso delle tecnologie. Non è neanche vero che nel resto dell’Europa il problema non sia stato affrontato. In alcuni Paesi europei ( per esempio quelli del nord Europa, la Polonia, la Svizzera) esistono normative sull’elettrosmog che pongono limiti restrittivi e, anche negli altri Paesi non si assiste alla “deregulation”? italiana. Negli stessi USA, in un territorio enormemente più esteso dell’Italia, vi è un numero di antenne inferiore che nel nostro Paese. Sul tema dell’elettrosmog, inoltre, si è sviluppato un movimento, assai composito, di associazioni e comitati che si battono nei territori per contrastare l’installazione di infrastrutture che destano preoccupazione e per richiedere il risanamento delle situazioni più compromesse. Si tratta di un movimento spesso con scarsi collegamenti e a volte confuso, ma che parte dal basso ed esprime l’esigenza di regole che contrastino il liberismo selvaggio.
Il movimento referendario aveva proposto tre referendum: sull’elettrosmog, contro gli inceneritori di rifiuti e contro i pesticidi negli alimenti. Certamente, i tre referendum, assieme, avrebbero meglio rappresentato l’esigenza di una nuova politica contro l’inquinamento che avvelena l’ambiente e addirittura i cibi, prodotto dalla sciagurata politica neoliberista che il governo delle destre applica inesorabilmente. Malgrado tutti i referendum avessero raccolto il numero delle firme necessarie, la sentenza della Corte Costituzionale ha inspiegabilmente e ingiustamente bocciato i due quesiti sugli inceneritori e i pesticidi. Dovremo, quindi, anche attraverso il solo referendum rimasto, quello sull’elettrosmog, avere la capacità  di sollevare, oltre la questione specifica, il tema più generale di una svolta nelle politiche di salvaguardia ambientale e di tutela sanitaria dagli inquinamenti prodotti dalle politiche di liberalizzazione e privatizzazione.

Il quesito referendario propone l’abrogazione delle norme che permettono l’esproprio delle proprietà  per il passaggio degli elettrodotti. Non è un referendum a difesa della proprietà  privata? Non c’era da proporre un altro quesito in materia di elettrosmog più chiaro?

Rispondiamo subito alla seconda questione che viene posta. Il problema è che nel caso dell’inquinamento elettromagnetico vi è una carenza legislativa e che il governo delle destre, come detto prima, vuole affossare la legge esistente con l’emanazione di decreti che mettono limiti farsa e vuole eliminare i poteri delle regioni e dei comuni. Attraverso la questione della servitù di elettrodotto, quindi, si affronta il problema dell’elettrosmog, ovvero la necessità  o meno di una normativa di tutela. Il nostro impegno dovrà  consistere nel far comprendere il nesso tra la vittoria del referendum e la sconfitta del tentativo di affossare la legge e i regolamenti comunali e, contemporaneamente, far avanzare una nuova stagione di diritti anche in campo sanitario e ambientale contro la pretesa delle imprese di essere libere di inquinare (magari, dopo, approfittando delle sanatorie e dei condoni).
La domanda se il referendum alla fine non rischia di favorire la proprietà  privata dei terreni è più insidiosa in quanto tenta di aprire con i promotori una polemica, per così dire, “da sinistra”?. Anche qui, però, la questione può essere chiarita facilmente: l’imposizione di nuovi elettrodotti non risponde più all’esigenza di elettrificazione del Paese mentre favorisce il processo di deregolamentazione determinato dalla privatizzazione del settore energetico. In pratica, oggi si tratta di garantire gli allacci alle centinaia di centrali private che con la liberalizzazione vogliono essere imposte contro la volontà  degli abitanti dei territori. La stessa cosa accade per l’alta velocità . Si tocca, in tal modo, un nodo di fondo della selvaggia politica liberista delle destre: la privatizzazione dell’opera pubblica, il tentativo, cioè, attraverso i processi di privatizzazione e di deregolazione del governo del territorio, di utilizzare le norme pubbliche flettendole agli interessi privati delle imprese. Quindi, lo strumento referendario è utile alle associazioni e ai comitati per combattere quelle opere devastanti e può consentire di affrontare uno degli aspetti più pesanti che caratterizza il governo delle destre.
Ma, con il referendum, si affronta un altro nodo di fondo: la critica alle politiche di liberalizzazione. Facciamo un solo esempio, per far comprendere come, nel caso dell’elettrosmog, si sia scelto un meccanismo di liberalizzazione assolutamente selvaggia. Se si parla di liberalizzare il servizio ferroviario, nessuno è così folle da ritenere che più concessionari del servizio costruiscano proprie reti ferroviarie, si pensa che più concessionari possano utilizzare la medesima rete (quindi, che sugli stessi binari possano passare treni di differenti proprietari). Ugualmente, poteva essere pensato per le antenne di radiotrasmissione: separare la proprietà  delle infrastrutture (mantenendola pubblica) dal servizio (svolto da più concessionari in concorrenza). Aver permesso che a ogni concessionario corrispondesse una propria struttura di rete, porta alla moltiplicazione infinita di antenne e ripetitori che assediano le città , creano un impatto paesaggistico intollerabile e producono gravi preoccupazioni per i cittadini.
Il referendum sull’elettrosmog è, quindi, anche un’occasione per discutere del modello di sviluppo e delle scelte sciagurate imposte dalla politica di sfrenato liberismo.

LA FINE DELLA COMMISSIONE EDILIZIA: EUTANASIA O ACCANIMENTO TERAPEUTICO?

Per ricostruire la vicenda, v.:


ANNULLATE GLI ATTI DELLA COMMISSIONE EDILIZIA DEL 17 FEBBRAIO (clicca qui)


DISCUSSIONE NEL FORUM SUL TEMA COMMISSIONE EDILIZIA (clicca qui)
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Si insiste nel richiamo ad una disposizione del Regolamento edilizio comunale: «la commissione rimane in carica fino alla nomina di quella successiva» (art. 5, comma 21, del Regolamento edilizio comunale). A parte il rilievo banale che nella gerarchia delle fonti normative la legge è posizionata un gradino più in alto rispetto ai regolamenti, in questo caso il richiamo a quella disposizione del regolamento edilizio è del tutto fuori luogo, in quanto il suo scopo è unicamente quello di assicurare che vi sia continuità  in quello specifico settore dell’attività  amministrativa durante il periodo (di ipotetica vacatio) che va dalla cessazione della precedente commissione alla nomina della successiva commissione edilizia. Così non è, in questo caso. In primo luogo, la commissione edilizia è un organo puramente eventuale, non è indispensabile per legge: la sua decadenza o assenza non compromette in alcun modo lo svolgimento e l’espletamento regolare dell’azione amministrativa in campo urbanistico ed edilizio, trovando applicazione anche in questo caso l’art. 96 del Testo Unico degli Enti Locali secondo cui «le relative funzioni sono attribuite all’ufficio che riveste preminente competenza nella materia» (vale a dire, l’Ufficio Tecnico Comunale ed il suo Dirigente). In secondo luogo, non si è proceduto, nei tempi prescritti dalla legge e dallo stesso regolamento comunale, alla ricostituzione di una “successiva” commissione. Al contrario, in più occasioni la volontà  politico-amministrativa manifestata dall’attuale maggioranza di governo cittadino è stata nel senso di ritenere chiusa, con la scadenza naturale del 31 dicembre 2002, l’esperienza della Commissione edilizia nel nostro Comune. Non a caso all’ordine del giorno del consiglio comunale del 20 febbraio 2003, v’era agli atti la proposta di una deliberazione con cui si cancellava la Commissione Edilizia dall’elenco degli organi indispensabili del nostro Comune.
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LA LEGGE
(d.l. n. 293/1994, convertito nella l. n. 444/1994)
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Art. 2 (Scadenza e ricostituzione degli organi): «Gli organi amministrativi svolgono le funzioni loro attribuite sino alla scadenza del termine di durata per ciascuno di essi previsto ed entro tale termine debbono essere ricostituiti».
Art. 3 (Proroga degli organi. Regime degli atti): «1. Gli organi amministrativi non ricostituiti nel termine di cui all’articolo 2 sono prorogati per non più di quarantacinque giorni, decorrenti dal giorno della scadenza del termine medesimo. 2. Nel periodo in cui sono prorogati, gli organi scaduti possono adottare esclusivamente gli atti di ordinaria amministrazione, nonché gli atti urgenti e indifferibili con indicazione specifica dei motivi di urgenza e indifferibilità . 3. Gli atti non rientranti fra quelli indicati nel comma 2, adottati nel periodo di proroga, sono nulli».
Art. 4 (Ricostituzione degli organi): «1. Entro il periodo di proroga gli organi amministrativi scaduti debbono essere ricostituiti. 2. Nei casi in cui i titolari della competenza alla ricostituzione siano organi collegiali e questi non procedano alle nomine o designazioni ad essi spettanti almeno tre giorni prima della scadenza del termine di proroga, la relativa competenza è trasferita ai rispettivi presidenti, i quali debbono comunque esercitarla entro la scadenza del termine medesimo».
Art. 6 (Decadenza degli organi non ricostituiti. Regime degli atti. Responsabilità ): «1. Decorso il termine massimo di proroga senza che si sia provveduto alla loro ricostituzione, gli organi amministrativi decadono. 2. Tutti gli atti adottati dagli organi decaduti sono nulli. 3. I titolari della competenza alla ricostituzione e nei casi di cui all’articolo 4, comma 2, i presidenti degli organi collegiali sono responsabili dei danni conseguenti alla decadenza determinata dalla loro condotta, fatta in ogni caso salva la responsabilità  penale individuale nella condotta omissiva».
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LA GIURISPRUDENZA
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«È infondata la questione di legittimità  costituzionale degli art. 3 e 6 d.l. 16 maggio 1994 n. 293, convertito, con modificazioni in l. 15 luglio 194 n. 444, nella parte in cui comminano, rispettivamente, la nullità  degli atti esorbitanti dall’ordinaria amministrazione, emanati dagli organi collegiali scaduti durante il periodo di proroga “ex lege” e la nullità  di tutti gli atti, di qualunque natura, emanati dopo la cessazione del periodo di proroga, in riferimento agli art. 117 e 118 cost.».
«Gli art. 3 e 6 d.l. 16 maggio 1994 n. 293 convertito dalla l. 15 luglio 1994 n. 444 che stabiliscono la nullità  degli atti degli organi collegiali scaduti, costituiscono principi fondamentali dell’ordinamento, che vincolano le regioni; pertanto, è infondata la questione di legittimità  costituzionale dei citati articoli, per violazione degli art. 117, 118, 121-123 cost. nella parte in cui abrogano le norme della l. reg. Calabria 5 agosto 1992 n. 13, che hanno regolato la materia in modo diverso ed assoggettato al nuovo regime sanzionatorio gli atti degli organi collegiali scaduti, finché la regione non abbia adeguato la propria normativa ai principi fondamentali recati dalla legge statale».
[Corte Costituzionale, 30 dicembre 1994, n. 464 (pubblicata in Foro it., 1995, I, 1106)]
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«La regola della c.d. “prorogatio” a tempo indeterminato non può essere ritenuta rispondente ad un principio di carattere generale insito nell’ordinamento, cui dovrebbe addirittura attribuirsi valore costituzionale in relazione all’indefettibilità  di certe funzioni pubbliche per assicurare la continuità  dell’esercizio di queste. Diversamente, infatti, da quanto spesso si ritiene con opinione tralatizia, dal complesso normativo vigente, non è possibile desumere che quella della c.d. “prorogatio” di fatto, incerta nella sua durata, costituisca regola valevole in generale per gli organi amministrativi».
«Se è previsto per legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che quindi la loro competenza sia temporalmente circoscritta, un’eventuale “prorogatio” di detto “sine die” – demandando all’arbitrio di chi ne debba provvedere alla sostituzione di determinare la durata pur prevista a termine dal legislatore ordinario – violerebbe il principio della riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, nonché quelli dell’imparzialità  e del buon andamento».
[Corte Costituzionale, 4 maggio 1992, n. 208 (pubbl. in Foro it., 1993, I, 59)]
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«Ai sensi dell’art. 8 comma 2 d.l. 16 maggio 1994 n. 293, conv. dalla l. 15 luglio 1994 n. 444, è legittimo ed efficace il provvedimento di annullamento adottato dalla commissione di controllo sugli atti della Regione in regime di proroga di fatto temporalmente limitata, giacché la sanzione della nullità  è prevista dalla detta norma per gli atti adottati dagli organi decaduti, e non da quelli scaduti.»
[T.A.R. Calabria – Catanzaro, 18 giugno 1999, n. 795 (pubbl. in TAR, 1999, I,3646)]
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«Va censurata la mancata ricostituzione degli organi della gestione finanziaria della stazione zoologica “Antonio Dohrn” di Napoli nei termini di legge, in quanto si pone in contrasto con la normativa concernente la materia (d.l. 16 maggio 1994 n. 293, conv. con la l. 15 luglio 1994 n. 444) secondo cui gli organi scaduti sono prorogati per non più di 45 giorni – tanto che sono comminate – sanzioni nei confronti sia dei titolari della competenza alla ricostituzione degli organi stessi sia degli atti adottati decorso il termine massimo di proroga
[Corte Conti, sez. contr., 8 luglio 1997, n. 28 (pubbl. in Riv. corte conti, 1997, 5, 78)]
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IL (banale) COMPUTO DEI TERMINI DELLA PROROGA DI LEGGE
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Si insiste ancora a richiamare il 6 gennaio 2003, data – a dire di qualcuno – da cui dovrebbe essere computato il termine massimo di proroga (45 giorni) previsto dalla legge. Non so cosa rappresenti questa data, quale valore concreto o simbolico abbia per la Città  e per l’ente comunale. Interpretando al meglio le parole sussurrate, pronunciate e scritte, si è indotti a capire che si voglia far riferimento alla data di insediamento (prima riunione!) della commissione edilizia, vale a dire il triennio in carica della commissione decorrerebbe dal 6 gennaio 2000, con scadenza 5 gennaio 2003. Comprendo lo sforzo di salvare il lavoro svolto dalla Commissione nella seduta del 17 febbraio 2003, ma – ammettendo che così sia, ma non è! – la scadenza della commissione in proroga si dovrebbe far risalire al 19 febbraio. Mi domando allora: perché il Dirigente dell’Ufficio Tecnico in un nota indirizzata al Sindaco chiedeva che la commissione beneficiasse della proroga dei 45 giorni con scadenza 17 febbraio? Perché negli uffici tutti, ma davvero tutti, davano il 17 come ultimo giorno della commissione? Perché lo stesso Dirigente in un nota scritta di risposta ad un consigliere comunale di minoranza affermava che la commissione scadeva il 17 febbraio?
La questione è, in verità , semplice, anzi banale.
La deliberazione consiliare di nomina della commissione è divenuta esecutiva il 31 dicembre 1999. Dal 1° gennaio 2000 e per tre anni, la commissione è stata in carica: né un giorno in più, né in giorno in meno. Far decorrere il triennio dalla prima riunione della commissione è un escamotage fantasioso, ma ridicolo, con tutto il rispetto con chi l’ha ideato. È come se si dicesse che il Sindaco è in carica non dalla proclamazione della sua elezione, ma dal momento in cui si è seduto fisicamente sulla poltrona di Sindaco!
A mero titolo esemplificativo, vale quanto ha precisato TAR Lazio-Latina, 29 marzo 1984, n. 140 (pubbl. in TAR, 1984, I, 1215):
«Il consiglio comunale non può procedere alla revoca dei membri designati per la partecipazione ad organi od enti pubblici prima della scadenza del mandato, in quanto normalmente i soggetti designati devono permanere in carica per tutto il periodo di durata dell’organo del quale sono chiamati a fare parte (e ciò anche se l’organo non sia stato ancora insediato, perché la posizione di “status” di chi riveste pubbliche funzioni deriva unicamente dall’atto di nomina, a prescindere dall’effettiva immissione nell’esercizio delle funzioni stesse)».
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– Enzo Colonna
consigliere comunale

LEGAMBIENTE: III Corso antincendio boschivo 2003

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LEGAMBIENTE ALTAMURA

III CORSO ANTINCENDIO BOSCHIVO 2003

Il gruppo di Protezione Civile, Legambiente Altamura, in considerazione della opportunità  di migliorare le proprie capacità  operative, di incrementare la partecipazione dei Volontari nelle attività  di protezione civile e nel caso specifico degli interventi di previsione, prevenzione ed intervento antincendio boschivo nell’istituendo parco nazionale dell’Alta Murgia, organizza il III corso di formazione per attività  di Antincendio Boschivo e Campestre nelle aree protette.

Il corso è articolato, mediante il seguente programma, in lezioni teoriche e pratiche, e comporterà  la disponibilità  (concordata) dei partecipanti alle possibili operazioni di avvistamento ed intervento antincendio per il periodo estivo.
Ai partecipanti saranno rilasciati: un attestato di partecipazione, una carta dettagliata dell’Alta Murgia e un manuale A.I.B. contenente alcune regole da seguire in caso di incendio.
Coloro che vorranno, potranno iscriversi al gruppo comunale di Protezione Civile, quindi partecipare all’attività  di avvistamento e spegnimento durante il periodo estivo.
L’associazione fornisce, infine, la copertura assicurativa per tutti i volontari.
Le lezioni si terranno presso la sede di Legambiente in via Andrea Doria n° 16

Il corso sarà  articolato sulle seguenti tematiche:
-· La legislazione in materia di incendi boschivi.
-· La diversa sensibilità  delle aree protette, il Parco dell’Alta Murgia.
-· Gli incendi boschivi: cause, effetti, dati statistici, natura del bosco, essenze boschive, climatologia e meteorologia.
-· Misure di prevenzione: pulizia del sottobosco, sentieri tagliafuoco, invasi d’acqua, sensibilizzazione dei Cittadini.
-· Sistemi di spegnimento più diffusi: strategie di attacco, spegnimento da terra e da cielo, attrezzature ed automezzi.
-· Controllo del territorio: avvistamento, allarme, pattugliamento e vedette.

– Martedì 6 maggio ore 17.00
Introduzione, la protezione civile, il ruolo delle istituzioni, il volontariato nella lotta agli incendi boschivi. Dott. Lobosco – disaster manager e resp. Protezione Civile di Altamura

– Venerdì 9 ore 17.00
Gli incendi boschivi, cause antropiche, aree sensibili, chi interviene, come si interviene. Corpo forestale dello Stato – dott. Lionetti

– Martedì 20 ore 17.00
La normativa in materia di accensione di fuochi e di incendi boschivi. Corpo forestale dello Stato – ing. Giove

– Mercoledì 21 ore 17.00*
Pratica, montaggio mezzo antincendio, attrezzature di gruppo, collegamenti radio, dotazione individuale.

– Giovedì 22 ore 17.00
I rapporti con le altre istituzioni, gli interventi del Corpo dei vigili del fuoco – Vigili del Fuoco

– Martedì 27 ore 17.00*
Pratica, caricamento acqua, simulazione, presa da pozzo, etc – Vigili del Fuoco

– Mercoledì 28 ore 17.00*
Pronto soccorso, sicurezza individuale e di gruppo

– Giovedì 29 ore 17.00*
Esercitazioni di guida fuori strada TSK e camion 4×4

– Sabato 7 giugno ore 17.00
Esercitazione pratica, verifica disponibilità , turni, chiusura.

* Lezioni che si terranno fuori sede.

Il Corso della durata di 30 ore complessive si terrà  presso la sede Legambiente in via Andrea Doria, 16 (nei pressi del mercato del pesce di piazza Castello) e sarà  aperto ad un massimo di 20 Volontari.

Responsabile del corso è Castoro Vito; docenti: Pio Acito, Natrella, Lobosco, Giove, Lionetti, ufficiali e responsabili dei VV.FF

A partire dal 16 giugno il Gruppo di Protezione Civile, Legambiente Altamura, sarà  operativo per la campagna antincendio della stagione estiva 2003.

Per informazioni o chiarimenti
tel.: 335 7224179,
e-mail: legambiente_altamura@yahoo.it

La Democrazia totalitaria

Caro Direttore,
le motivazioni date per la guerra all’Iraq sono state cambiate più volte in corsa.
Prima era che Saddam non avrebbe mai accettato le ispezioni, ma quelle le ha accettate, poi che non avrebbe mai permesso a Blix e ai suoi di entrare nei «tenebrosi palazzi imperiali» e il raìs di Baghdad si è lasciato frugare persino nel frigorifero, quindi gli americani hanno sostenuto che, ispezioni o no, Saddam quelle «armi di distruzione di massa» ce le aveva di sicuro e che quindi non ciurlasse nel manico perché lo sapevano benissimo che c”šerano. Per forza, verrebbe da dire, glieli avevano forniti loro il nervino e l”šantrace, in combutta con altri Paesi occidentali e con la Russia.
Glieli avevano forniti perché li usasse prima contro gli iraniani di Khomeini – che allora era «il Male» di turno perché, a differenza di Saddam, all”šepoca «laico» e socialisteggiante, non stava nella logica e nello schema del biimperialismo sovieto-americano, osava non essere né capitalista né marxista, orrore – e poi contro i curdi in rivolta divenuti insidiosi per l”šalleata Turchia. Infine, poiché quelle armi non sono state comunque trovate nonostante i marines avessero setacciato l”šIraq in lungo e in largo, la giustificazione ufficiale è diventata che era necessario, giusto e morale abbattere un dittatore sanguinario e criminale ed esportare gloriosamente la democrazia in Medio Oriente.
Ebbene, se questa fosse davvero la motivazione della guerra all”šIraq, se le nostre opinioni pubbliche credessero sul serio che è un dovere morale dell”šOccidente (termine già  in sé sinistro, che evoca l”šEurasia e l”šEstasia del «1984» di Orwell) abbattere con le armi le dittature, le teocrazie, i regimi tradizionali e tribali e insomma tutto ciò che non è democrazia, la riterrei la più agghiacciante delle motivazioni, più che se dicessimo che abbiamo occupato, pardon «liberato», Baghdad per il petrolio e per il colossale business della cosiddetta ricostruzione che mistifica come aiuto ciò che è invece un”šulteriore rapina.
Ci metteremo allora a fare guerre «di liberazione» alla Siria, come già  si minaccia, e poi all”šIran, all”šArabia Saudita, alla Giordania, all”šEgitto, al Pakistan, alla Cina, a Cuba e in seguito alle democrazie imperfette, alla Russia, al Venezuela e, perché no, anche all”šItalia dove il capo del governo controlla l”šintero sistema televisivo nazionale, come Saddam Hussein, e molto di più dell”šautocrate Milosevic che pur siamo andati ad abbattere con le armi, senza l”šavallo dell”šOnu e in spregio di ogni norma di diritto internazionale, a cominciare da quella, fino ad allora mai messa in discussione, che vieta l”šingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano, sempre in nome, va da sé, della democrazia e dei «diritti umani» (anche «umano» e «umanitario» stanno diventando termini inquietanti, che mettono in allarme come li si sente nominare)?
Ma, a parte questo, è lo stesso voler portare la democrazia ovunque, con le cattive ma anche con le buone, che è rabbrividente. Perché è una concezione totalizzante e totalitaria della democrazia, che somiglia molto a una dittatura universale. Non rispetta le tradizioni, il vissuto, i percorsi di popoli che hanno una storia che non ha nulla a che fare con la nostra e che si sono dati assetti politici diversi dalla democrazia ma non, necessariamente, meno rappresentativi. Qualcuno vorrà  forse sostenere che i Taleban, che avevano il consenso, sia pur non espresso con i metodi elettorali di tipo occidentale, ridicoli e addirittura grotteschi in una realtà  tribale, di tutte le zone rurali dell”šAfghanistan, e cioè dell”š80% della popolazione, fossero meno rappresentativi del governo «democratico» del Quisling Karzai, consulente da anni dell”šamericana Unocal, che controlla a malapena, nonostante l”šappoggio delle truppe di occupazione chiamate, anche qui, «forze di liberazione» o di «peace keeping», Kabul e qualche città ? Ma i Taleban erano «brutti, sporchi e cattivi», non erano democratici, imponevano il burqa (per la verità  da quelle parti usava da sempre), avevano una concezione della dignità  femminile diversa da quella che se ne ha in Occidente, dove la donna viene esposta e venduta, nelle Tv, nelle pubblicità , al cinema, a pezzi e bocconi come i quarti di bue in macelleria, non mettevano al primo posto l”šeconomia ma il Corano, e quindi andavano abbattuti e il loro Paese spianato da bombe da dieci tonnellate. Ecrases l”šinfame!
Ma a parte la democraticità  e la rappresentatività  o meno di questi o di quelli, ogni popolo dovrebbe conservare almeno l”šelementare diritto di filarsi da sé la propria storia, senza palesi supervisioni che vengono da migliaia di chilometri e da secoli di distanza. E invece questa concezione totalitaria della democrazia non rispetta, in nome di astrazioni, l”šaltro da sé, il diverso da sé. Rispetta e concepisce solo se stessa. È questo che ho chiamato «il vizio oscuro dell”šOccidente», che viene da lontano, da molto lontano. Soffia, potente, non più in Europa ma sull”šintero pianeta, lo spirito della Rivoluzione Francese, l”š«esprit de géométrie», lo spirito dell”šastrazione, dell”šomologazione, della violenza ideologica, del giacobinismo. Lo spirito della ghigliottina. Ma noi la chiamiamo, disonorandola, democrazia.

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se vuoi leggerlo online:
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=EDITO&TOPIC_TIPO=E&TOPIC_ID=25186

Laboratorio interculturale Tecla

A partire dal 3 Maggio ad Altamura si svolgerà  un nuovo laboratorio del progetto TECLA. Si tratta di un laboratorio permanente di educazione interculturale che mira alla integrazione delle diverse culture presenti nella nostra città . Tutti i bambini che vivono ad Altamura, qualunque sia la loro origine, potranno divertirsi imparando a conoscere le culture degli altri. A TECLA c’è il tempo di fare amicizia attraverso il gioco, le fiabe, il disegno, il teatro e tanto altro.

TECLA è aperto a bambini di tutto il mondo: italiani, albanesi, tunisini, marocchini, polacchi, serbi…. L’unica cosa di cui c’è bisogno è la voglia di divertirsi e imparare. I bambini dovranno ricostruire la versa storia di Zorzo, un uomo ingiustamente esiliato chem dopo tanti anni, torna ad Altamura per ristabilire la verità . Un gruppo internazionale di animatori-investigatori, composto da Franà§ois, Sarah, Sylvie e Chiara, ricostruiranno le tappe della vita di Zorzo in giro per il mondo. Alla fine racconteranno la vera storia di Zorzo a tutta le città  con uno spettacolo e con un libro.

Il laboratorio si sovlgerà  due giorni a settimana per tutto il mese di maggio, dalle 16 alle 19. Dal 3 al 10 giugno il laboratorio si svolgerà  nelle stesse ore tutti i pomeriggi. Dall’11 al 14 giugno ci sarà  un campo finale per la preparazione dello spettacolo di presentazione alla città , che si terrà  il 14 giugno.
Tutti i partecipanti saranno coperti da assicurazione per tutta la durata del progetto.
Ai partecipanti sarà  richiesta una quota di partecipazione di 20 euro che comprende l’assicurazione, i trasporti, il vitto e l’assoggio durante il campo.
Per informazioni e iscrizioni, entro il 28 aprile:

Cooperativa Sinergie
piazza Municipio, 11
70022 Altamura
sinecoop@libero.it
www.youthcountry.org
tel/fax +39 080 314 84 00

LA DENUNCIA-CHOC DEL CONSIGLIERE SIANI







Gazzetta del Mezzogiorno del 18 aprile 2003
Le «carte» saranno inviate ai carabinieri e alla Procura
«Non occuparti dell’appalto»

Un consigliere dell’Udc denuncia in aula: «Sono stato intimidito»


Altamura –
Consiglio comunale in giallo. Un consigliere dell’Udc ha denunciato in aula di essere stato oggetto di «intimidazioni»: non deve più occuparsi di una gara d’appalto comunale. L’episodio è stato definito da tutti gravissimo e le carte saranno inviate ai carabinieri ed alla Procura.
Avrebbe dovuto essere una seduta tranquilla. Solo un punto iscritto all’ordine del giorno: la sostituzione del capogruppo dei Ds Michele Ventricelli, dimissionario due settimane fa, il cui posto è stato occupato da Antonio Colamonaco, medico veterinario.
Non è stato tutto così calmo. Nel pieno della riunione il consigliere dell’Udc Vincenzo Siani ha fatto dichiarazioni pesanti. A suo dire, infatti, è stato «avvicinato» da alcune persone all’ingresso del Municipio, mentre al primo piano era in corso il consiglio comunale. Con fare minaccioso uno di loro lo avrebbe «invitato» a non occuparsi più di una vicenda, quella della pubblica illuminazione, sulla quale Siani ha contestato in maniera molto critica l’aggiudicazione dell’appalto.
Dopo questo incontro ravvicinato Siani ha preso il microfono ed ha parlato: «Devo denunciare un episodio gravissimo». Quindi le dichiarazioni. A detta di Siani all’incontro era presente anche l’assessore Antonio Cardano.
In mancanza di controprova e della cosiddetta altra «campana», il consiglio comunale ha chiesto al presidente Luigi Lorusso di trasmettere gli atti alla caserma dei carabinieri (che almeno fino a ieri non aveva ancora ricevuto niente) per le opportune valutazioni del caso.
Siani ha ricevuto attestazioni di solidarietà  sia dal centrodestra che dal centrosinistra. Di sicuro, una storia che merita un approfondimento delle istituzioni competenti.
Cambiando pagina, il consigliere Enzo Colonna ha chiesto agli uffici comunali delle verifiche sulla realizzazione di un immobile destinato ad attività  commerciali nel Parco urbano nella zona di via Matera, limitrofa al Boschetto di via Treviso. Molte infatti sono state le segnalazioni dei cittadini. Colonna vuol capire se c’è la «legittimità  giuridica» dell’intervento a cui si è giunti dopo un condono. Tecnicamente, si tratta di una ristrutturazione di un manufatto preesistente.
Onofrio Bruno

Qualcosa di sinistra su Cuba

Ma quale relazione corre tra dirsi di sinistra, militare a sinistra, «fare cose» che sono (o si vogliono) di sinistra e definire «errori veniali» le condanne a pene tra i 18 e i 30 anni, inflitte da una tribunale di Cuba a un’ottantina di dissidenti? E la pena di morte per i tre giovani che hanno tentato di dirottare un vaporetto per fuggire dall’isola, ha qualcosa a che fare – anche solo lontanamente, anche nella maniera più sottile o più contorta – con l’idea di una società  più libera e più giusta?
Una risposta incondizionatamente negativa parrebbe ovvia, ma così non è a sinistra: e nella nostra sinistra. A definire «errori veniali» le condanne inflitte ai dissidenti cubani, è stato Marco Rizzo dei Comunisti italiani (e sembra essere questa la posizione dell’intero partito): e il seguito delle sue risposte a un giornalista del Corriere della Sera è stato, se possibile, ancora più autolesionista. Alla domanda su quali sistemi politici e sociali preferisca, Rizzo risponde: «Da parlamentare potrei permettermi di dire Usa, se fossi operaio sceglierei Cuba».
Quest’ultima frase può essere letta e riletta, pesata e soppesata, ma il suo significato resta, ahinoi, inequivocabile. Un operaio dovrebbe scegliere Cuba perché, come ha detto appena prima lo stesso Rizzo, «nell’America Latina è l’unica a garantire giustizia e libertà »: e «giustizia e libertà » – per un operaio – corrispondono a un posto di lavoro e a un salario. Ammesso e non concesso che a Cuba gli operai dispongano di un lavoro e di un salario, perché mai quegli stessi operai se ne dovrebbero accontentare? Forse che le libertà  politiche, i diritti civili, le garanzie democratiche non sono «roba da operai»? Qui, sia chiaro, non è in discussione la buona fede di Rizzo, ma quella frase rivela – al di là  delle intenzioni – un autentico disprezzo per la classe operaia: e tradisce una vera e propria catastrofe ideologica, un disastro intellettuale, una rovina politica. Com’è possibile tutto ciò?
Com’è possibile che, nel medesimo schieramento, si ritrovino chi considera un «errore veniale» la condanna a venticinque anni di Héctor Palacios, uno dei promotori del «progetto Varala» (la prima iniziativa per un cambiamento pacifico del regime), e chi invece considera un’atrocità  quella stessa condanna?
Molte le ragioni di una contraddizione così acuta. La prima rimanda a quella interpretazione «leninista» della lotta per il socialismo, che ancora condiziona i comportamenti e gli schemi mentali – e la stessa «concezione del mondo» – di una parte della sinistra. Quella interpretazione prevede una lunga fase di passaggio dal capitalismo al socialismo, attraverso il controllo dei mezzi di produzione, la socializzazione delle forze produttive, la dittatura del proletariato. È ovvio che, oggi, nessuno (o quasi) riproponga in questi termini e con questo linguaggio una strategia rivelatasi fallimentare e luttuosa: ma ne resta – eccome – l’eco, alcuni riflessi condizionati, numerosi tic ideologici, molte tracce semantiche e un’infinità  di detriti culturali. E resta, soprattutto, una impostazione dove domina la figura del «nemico principale» (va da sé: gli Stati Uniti): e dove le posizioni della sinistra vengono misurate sul metro della distanza da quel nemico e dell’intensità  del rapporto di ostilità  oppure di alleanza nei suoi confronti. Insomma, siamo sempre al vetusto e logoro assioma de «il nemico del mio nemico è mio amico». Un paradigma su cui si fonda un’intera ideologia della belligeranza e della guerra e i cui esiti disastrosi per la politica sono noti da tempo: e non è necessario rifarsi al «patto Stalin-Ribbentrop» per ricordare quanto lo siano stati, in particolare, per la politica di sinistra e delle sinistre.
In questa logica residuale, è facile che Cuba assuma l’identità  di Davide che resiste a Golia, e che questo ruolo «combattente» costituisca la spiegazione-giustificazione («errori veniali») non solo dei ritardi e delle lentezze, ma anche degli arbitrii e degli abusi, delle iniquità  e dei misfatti, della pena di morte e della negazione della libertà . In ultima analisi, di un regime dispotico. Ma che cosa impedisce a una parte della sinistra di «vedere» quel regime? Qui interviene una seconda ragione dell’atteggiamento di subalternità  verso il castrismo. Ovvero la sottovalutazione grave – se non l’ostilità  – nei confronti delle libertà  civili. Non va dimenticato che, all’interno della sinistra, è tuttora maggioritaria l’idea della contrapposizione – fino all’inconciliabilità  – tra diritti sociali e diritti individuali, tra garanzie della collettività  e garanzie della persona, tra tutela della comunità  e tutela dell’individuo. Solo questo può spiegare come mai non si ritenga, da parte di alcuni (che, magari, hanno partecipato al Gay Pride di Roma), motivo sufficiente per una critica radicale il fatto che, a Cuba, vi siano omosessuali detenuti in quanto omosessuali: per aver affermato, cioè, il diritto alla piena autonomia nella sfera delle scelte sessuali.
Anche in tal caso, pesa il retaggio – mai definitivamente abbandonato – di una idea dei diritti civili come secondari e successivi: ovvero gerarchicamente e cronologicamente inferiori rispetto ai diritti sociali. Una sorta di lusso – le «libertà  borghesi», appunto – che può stare a cuore solo ai privilegiati (non certo agli operai, che è gente concreta, signora mia) e che può essere rinviato a tempi migliori. Ma la radice del totalitarismo, e lo dovremmo sapere bene, risiede proprio in quella teoria dei «due tempi».
Non solo: si dimentica che la rivoluzione cubana risale al 1959 e che, dunque, la «stabilizzazione» sarebbe dovuta avvenire ormai da qualche decennio; e si dimentica, ancora, che il regime di Fidel Castro ha assunto i tratti di un dispotismo plebiscitario-familistico. Questo significa, forse, dimenticare le gigantesche difficoltà  in cui si trovano quel paese e la sua economia? O sottovalutare il peso dell’embargo statunitense e della solitudine di Cuba nel continente e nel mondo? Assolutamente no. Ma proprio tale consapevolezza dovrebbe indurre a scelte diametralmente opposte: la penuria, il sottosviluppo, l’arretratezza economica non possono essere adeguatamente affrontati da regimi illiberali. La storia di interi continenti, nel corso del ”˜900, lo dimostra in maniera inequivocabile. Non solo: la globalizzazione (e la «globalizzazione dei diritti») significa, tra l’altro, che le aspettative degli individui – in Italia e negli Stati Uniti, ma anche a Cuba – si sono ampliate e arricchite e riguardano, insieme, bisogni materiali e bisogni immateriali, benessere economico e diritti politici, sovranità  su di sé e sul proprio corpo e interessi condivisi, autonomia della persona e pari opportunità , libertà  di espressione e sicurezza materiale.
Si dirà : ma anche nel centrodestra si manifestano simpatie per Fidel Castro e il governo Berlusconi intensifica, proprio in queste settimane, le relazioni con quel regime. E allora? Che cosa c’entro io con il sottosegretario agli Esteri Mario Baccini (Udc)? Certo, non c’entro molto nemmeno con il grande scrittore José Saramago, che – continuando a definirsi comunista – ha pronunciato le seguenti e preziose parole: «Io arrivo fin qui. D’ora in avanti Cuba andrà  per la sua strada, io mi fermo qui. Dissentire è un atto di coscienza irrinunciabile. (”¦) Cuba non ha vinto nessuna battaglia eroica fucilando questi tre uomini, però ha perso la mia fiducia, ha distrutto le mie speranze, ha defraudato le mie illusioni. Io mi fermo qui».

LA PACE E’ FATTA?

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LA PACE E’ FATTA?
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L’intervento anglo-americano in Iraq, come tutti facilmente prevedevano, sta conseguendo successo militare.
Tutti ancora da raggiungere gli altri: catturare il dittatore Saddam, trovare le armi di distruzione di massa, neutralizzare il terrorismo fondamentalista.
Nel frattempo, un Paese già  piegato da oltre dieci anni di embargo, vede spaventosamente allungarsi la lista dei suoi morti per le bombe, la fame, la sete, le vendette……
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Anche in queste ore, nelle quali tanti personaggi politici e tanti mezzi di informazione saltano sul “carro dei vincitori”, il Comitato cittadino per la Pace di Altamura ribadisce il proprio punto di vista: la guerra in Iraq è un intervento sbagliato perché ha sparso e continua a spargere sangue innocente che una strategia politica non guerresca poteva sicuramente evitare.-  L’obiettivo di abbattere il regime di Saddam poteva essere conseguito utilizzando gli strumenti messi a disposizione da organismi internazionali.
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L’intervento in Iraq, poi, rischia di segnare un precedente tragicamente pericoloso: i consiglieri di Bush, infatti, teorizzano che in tutte le realtà  territoriali del Medioriente è necessario eseguire lo stesso “lavoro” fatto nell’antica Mesopotamia. È la teoria della “democrazia esportata” a cavallo delle armi.
Significa questo che siamo solo all’esordio della cosiddetta “quarta guerra mondiale”?
Il Comitato è, oggi, ancora più convinto che le guerre non risolvono le questioni terribili che – tante volte – gli stessi “grandi della terra” creano ad arte, soggiogati dalla ideologia del liberismo e della militarizzazione, per giustificare poi il dispiegamento di bombe e carri armati.
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Costruire la pace, renderla categoria permanente della coesistenza tra i popoli, praticarla quotidianamente in ogni dove resta una meta non negoziabile.
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COMITATO CITTADINO PER LA PACE – ALTAMURA– – – – – – – – – – – – – 

Una struttura commerciale in una zona destinata a Parco Urbano?



E’ mai possibile realizzare una struttura commerciale in una zona destinata a “Parco Urbano”? La risposta è scontata: NO!


Ma nel “libero territorio” di Altamura e grazie ad efficientissimi apparati politico-burocratici tutto è possibile! Per intenderci, la zona è accanto al ‘Boschetto’ di via Treviso (quello inaugurato di recente); i locali che si stanno ristrutturando (si fa per dire: sono stati interamente demoliti per essere costruiti – in forma, altezza e sagoma differenti – ex novo) erano pertinenze della masseria ben visibile da Via Matera (colorata in rosso, sulla sinistra uscendo dall’abitato).


Dalle “carte” tutto sembra apparentemente in ordine: prima un condono edilizio (che ha sanato il cambio di destinazione d’uso da stalle e diroccati locali ad uso agricolo in immobili ad uso commerciale) e poi una concessione di ristrutturazione (un comodo escamotage, questa, per ovviare all’impossibilità  di ottenere, appunto perchè in un parco urbano, la concessione per una nuova opera).


Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una STRUTTURA COMMERCIALE in via di realizzazione nel bel mezzo di quello che, a dire del Piano Regolatore, sarebbe dovuto essere il PARCO URBANO CITTADINO.


Come se non bastasse, Sindaco e Giunta hanno pure autorizzato lo scomputo degli oneri di urbanizzazione, accettando l’offerta della ditta costruttrice di realizzare il prolungamento di Via Rovigo (scomputo = niente soldi in cambio della realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione): ma questa, però, è una strada che si trova stranamente in tutt’altra zona dell’abitato (nei pressi dei “Cappuccini”). Una forma di scomputo, insomma, che non sta nè nel cielo delle leggi, nè nella terra del buon senso!


Ci domandiamo: qualcuno ha verificato cosa si andava a condonare? qualcuno ha verificato la consistenza degli immobili che si volevano ristrutturare? si può davvero parlare di ristrutturazione e non di nuova costruzione? E soprattutto… qualcuno è stato sfiorato, solo per un istante, da dubbi del tipo: cosa stiamo autorizzando in un parco urbano, che cazzo stiamo facendo?
Ah… dimenticavamo: domande idiote nel “libero territorio” di Altamura!

Il traffico e la sosta selvaggia su Corso Federico II e in piazza Duomo

Il traffico e la sosta selvaggia su Corso Federico II, in piazza Duomo e in Piazza Repubblica, a cui ogni giorno assistiamo impotenti, diventano più che mai insostenibili. Il sabato sera, quando l’ingorgo di macchine impedisce il passeggio, mette a rischio l’incolumità  dei bambini e rende invivibile uno dei pochi spazi pubblici di questa città . E’ fondamentale che il disagio avvertito da tantissimi cittadini trovi espressione concreta in un’azione volta a sensibilizzare l’opinione pubblica e a sollecitare il rispetto delle regole di convivenza civile. Legambiente Altamura invita tutti i cittadini, le associazioni, i coordinamenti cittadini, sabato 5 aprile, a partire dalle ore 20, a presidiare Piazza Duomo, ostacolando il traffico e la sosta attraverso tutti gli strumenti possibili (barriere fisiche, sit-in, biciclette, bandiere,etc,). La zona in questione, infatti, per il suo valore storico e artistico è zona a traffico limitato (istituita con delibera di Giunta Comunale 456 del 25/10/2001) e deve tornare ad essere fruibile dai cittadini a piedi. Legambiente Altamura Per informazioni: legambiente_altamura@yahoo.it>