Accordi di programma e piano territoriale paesistico.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI,
sentenza 5 gennaio 2001 n. 25.

La generalizzazione dell’utilizzo
dello strumento dell’accordo di programma tra diverse amministrazioni,
al fine del coordinamento dei diversi pubblici interessi di cui
le medesime sono portatrici, appare in linea con la più generale
tendenza del legislatore a favorire l’esercizio consensuale della
potestà amministrativa.

L’art. 27, comma 5, della
legge n. 142/90 introduce una disciplina specifica per il caso di
variazione degli strumenti urbanistici, senza peraltro limitare
a tale ambito l’utilizzo dello strumento dell’accordo. Non esula
dunque dall’ambito oggettivo di operatività di un accordo
di programma, individuato dal legislatore in modo ampio e generico,
la realizzazione di opere ed interventi che comportino la modifica
di un piano territoriale paesistico.

Il piano paesistico è
finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più
precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone
dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico,
al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesitico-ambientali
con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità,
inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori.

L’effetto giuridico di un
accordo di programma è quello di obbligare le parti stipulanti
ad ottemperare agli impegni assunti con l’accordo, nel rispetto,
e non in deroga, delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione.
Laddove la competenza sia attribuita ad un organo collegiale, la
partecipazione all’accordo di diverso organo dello stesso ente non
può sostituire decisioni riservate al primo, a meno che lo
stesso non si sia espresso in via preventiva o salvo espressa disposizione
legislativa in tal senso. In caso contrario, detta partecipazione
comporta l’impegno da parte dell’organo non competente a sottoporre
la questione all’organo cui la competenza è attribuita.

*

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.1648/2000
R.g. proposto dalla Regione Campania, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo
Baroni, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso (ufficio di
rappresentanza della ragione Campania), in Roma, via del Tritone,
n.61;

contro

Associazione "Italia Nostra",
non costituitasi in giudizio,

e nei confronti di

– SPI — Promozione e Sviluppo
Imprenditoriale s.p.a., in persona del presidente del Consiglio
di amministrazione, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Filippo Satta e Filippo Lattanzi, ed elettivamente
domiciliato presso gli stessi, in Roma, via G.P. da Palestrina,
n.47;

– Ministero per i beni e le
attività culturali, in persona del Ministro pro tempore,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliato presso la stessa,
in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

– Ministero del bilancio e della
programmazione economica, Comitato di coordinamento delle iniziative
per l’occupazione, Provincia di Napoli, Comune di Torre Annunziata,
Consorzio area sviluppo industriale, Ilva in liquidazione s.p.a.,
Società consortile Genesi, non costituitisi in giudizio;

e sul ricorso in appello n.3573/2000
R.g. proposto da IRITECNA s.p.a. in liquidazione, in persona dei
Direttori Generali, rappresentati e difesi dagli avv.ti Lorenzo
Acquarone, Giovanni Gerbi, Gherardo Marone e Ludovico Villani, ed
elettivamente domiciliati presso quest’ultimo, in Roma, Piazzale
Clodio, n.12;

contro

Associazione "Italia Nostra",
non costituitasi in giudizio;

e nei confronti

– Ministero del bilancio e della
programmazione economica e del Ministero per i beni e le attività
culturali, in persona dei rispettivi Ministri pro-tempore, costituitisi
in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliati presso la stessa,
in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

– Regione Campania, Comune di
Torre Annunziata, s.p.a. SPI promozioni e sviluppo imprenditoriale,
Consorzio area di sviluppo industriale di Napoli; S.c.a r.l. Genesi,
non costituitisi in giudizio;

per l’annullamento

della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania,
Sezione I, n.2911/99 pubblicata il 10-11-99;

Visti i ricorsi con i relativi
allegati;

Visti gli atti di costituzione
in giudizio delle amministrazioni suindicate e della SPI s.p.a.;

Viste le memorie prodotte dalle
parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 14
luglio 2000 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Uditi, l’Avv. Acquarone
per l’Iritecna s.p.a., l’Avv. Ciotti per delega dell’Avv. Baroni
per la Regione Campania el’Avv. Lattanzi per la S.P.I. s.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto
e in diritto quanto segue:

FATTO

L’associazione Italia Nostra
proponeva ricorso davanti al TAR per la Campania chiedendo l’annullamento
del decreto n.15295 del 12.10.1996, con cui il Presidente della
regione Campania aveva approvato e reso esecutivo l’accordo
di programma stipulato in data 4.7.1996 tra la Regione Campania,
il Comitato di coordinamento delle iniziative per l’occupazione,
il Ministero del bilancio e della programmazione economica, il Ministero
dei beni culturali ed ambientali, l’amministrazione provinciale
di Napoli, il Comune di Torre Annunziata, il Consorzio ASI di Napoli,
con l’adesione dell’Ilva in liquidazione s.p.a. e della
S.P.I. s.p.a.

L’accordo prevedeva la
realizzazione di un programma per la reidustrializzazione, il riassetto
territoriale e lo sviluppo economico dell’area Torrese-Stabiese.

Con l’impugnata sentenza
il TAR per la Campania accoglieva il ricorso sotto il profilo dell’inidoneità
dello strumento dell’accordo di programma ad introdurre modifiche
alle previsioni contenute in un Piano Territoriale Paesistico.

Con il ricorso in appello in
epigrafe la Regione Campania ha chiesto l’annullamento della
menzionata sentenza, deducendo i seguenti motivi:

a) errata applicazione dell’art.27
della legge n.142/90, che non impedisce di utilizzare lo strumento
dell’accordo di programma anche per variare le previsioni contenute
in P.T.P.;

b) erroneità della sentenza
del TAR, che non ha tenuto conto del fatto che il P.T.P. era stato
approvato con atto del Ministro, il quale aveva partecipato alla
stipula dell’accordo.

Con separato ricorso anche l’IRITECNA
s.p.a. chiedeva l’annullamento della sentenza deducendo la
violazione e falsa applicazione dell’art.27 della legge n.142/90,
potendo l’accordo di programma essere utilizzato per modificare
sia la disciplina paesistica, sia piani territoriali ultra comunali.

Si costituivano in giudizio
la SPI — Promozione e Sviluppo Imprenditoriale s.p.a., il Ministero
del bilancio e della programmazione economica e il Ministero per
i beni e le attività culturali chiedendo l’accoglimento
dell’appello, mentre, benché regolarmente intimata,
non si costituiva l’associazione Italia Nostra.

All’odierna udienza le
due cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente deve essere
disposta la riunione del ricorso n.3573/2000 al ricorso n.1648/2000,
in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. Oggetto del presente giudizio
di appello è un’unica questione di diritto: l’idoneità,
o meno, dello strumento dell’accordo di programma ad introdurre
modifiche delle previsioni contenute in un Piano Territoriale Paesistico.

L’Avvocatura Generale dello
Stato ha chiesto un’autorevole pronuncia su tale punto ed anche
sulla diversa questione della partecipazione di terzi nelle fattispecie
in cui le amministrazioni si determinano a perseguire la propria
attività con moduli convenzionali, quali l’accordo di
programma, in luogo di procedure amministrative "aperte".

Tale ulteriore censura, mossa
in primo grado e relativa all’omessa partecipazione all’accordo
delle associazioni ambientalistiche, è stata assorbita dal
TAR e non è stata riproposta in appello; non deve pertanto
essere esaminata, in quanto rinunciata a seguito della mancata costituzione
in giudizio dell’associazione appellata, vittoriosa in primo
grado

La giurisprudenza ha, infatti,
chiarito che i motivi del ricorso proposti al TAR, se assorbiti
e non esaminati, sono soggetti al principio espresso dall’art.346
c.p.c. e che la preclusione sussiste anche quando l’appellato
vittorioso non si è costituito nel giudizio di appello (cfr.,
Cons. Stato, Ad. Plen., n.1/1999 e Cons. Stato, VI, n.1274/99).

3.1. Il giudice di primo grado,
dopo aver respinto alcune eccezioni preliminari (non oggetto di
appello), ha accolto il ricorso rilevando che l’art.27 della
legge n.142/90 limita l’utilizzo di accordi di programma, consentendo
solo la modifica degli strumenti urbanistici di competenza comunale.

Tale interpretazione ha condotto
il TAR a ritenere l’illegittimità dell’accordo
in esame sotto un duplice profilo: la natura paesistica, e non urbanistica,
del P.T.P. modificato e l’ambito ultra comunale del piano.

3.2. Prima di procedere all’esame
della prospettata questione di diritto, appare opportuno precisare
il contenuto delle modifiche al P.T.P., apportate dall’accordo
di programma.

Con l’accordo, nel prevedere
la realizzazione di un progetto di reindustrializzazione, di riassetto
territoriale e di sviluppo economico dell’area costiera di
Torre Annunziata e, in particolare, dell’ex tubificio Dalmine
Ilva, è stato stabilito che "la variante al piano territoriale
paesistico sarà approvata con decreto del Presidente della
Giunta Regionale ai sensi dell’art.27 della legge n.142/90".

Attraverso tali modifiche la
realizzazione del descritto programma di intervento è stata
inserita tra le opere da eseguire in deroga alle norme di zona (con
specifici indice e parametri) ai sensi dell’art.22, comma 5
delle norme di attuazione del piano territoriale paesistico dei
Paesi Vesuviani.

3.3. Il giudice di primo grado
ha affermato la natura paesistica, e non (solo) urbanistica del
P.T.P. in questione e da ciò ha tratto la conseguenza della
non modificabilità attraverso l’accordo di programma.

La Sezione ritiene di condividere
il primo punto, ma non anche le conseguenze tratte circa l’inidoneità
dello strumento utilizzato.

E’ nota la differenza tra
piano paesistico e piano urbanistico territoriale: il primo è
finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più
precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone
dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico,
al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico —
ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità,
inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori
(cfr., Cons. Stato, VI, n.29/1993). Il piano paesistico costituisce
pertanto uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto
precettivo del vincolo paesaggistico, mediante l’individuazione
delle incompatibilità assolute e dei criteri e parametri
di valutazione delle incompatibilità relative, condizionando,
prevalentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione
del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico (cfr.,
Corte Cost. n.417/95; Cons. Stato, II, n.548/98).

Al contrario, il piano urbanistico
territoriale, pur avendo anche valenza paesistico — ambientale,
non presuppone necessariamente un preesistente vincolo e può
anche riguardare ambiti non vincolati.

Sicuramente possono sorgere
problemi interpretativi, connessi al fatto che le due tipologie
si presentano a volte variamente combinate ed intrecciate.

La Corte Costituzionale ha indicato,
quali indici di riconoscimento della categoria dei piani urbanistici
territoriali: l’estensione della loro efficacia all’intero
territorio regionale con l’assenza di un limite territoriale
riferito alle sole zone vincolate, l’utilizzo di tecniche ed
effetti propri degli strumenti di pianificazione urbanistica ancorché
teologicamente orientati verso l’obiettivo preminente della
protezione di valori estetico — culturali e la formulazione
di generali criteri di orientamento per la successiva attività
di pianificazione ovvero di vincoli per l’attività di
utilizzazione e trasformazione del suolo (Corte Cost., n.327/90
e n.378/2000).

Applicando detti criteri al
caso in esame, deve ritenersi la natura paesistica del P.T.P. dei
Paesi Vesuviani, modificato con l’accordo di programma impugnato,
attenendo questo alla fase attuativa della tutela di una particolare
zona sottoposta a vincolo e rientrando nell’attuazione del
vincolo anche una funzione non di mero contenimento e conservazione
dei pregi ambientali, ma anche di valorizzazione e recupero dei
beni protetti.

Come si vedrà oltre,
è comunque irrilevante la questione circa la natura prevalentemente
urbanistica delle prescrizioni contenute nella variante al P.T.P.,
in quanto anche la natura paesistica del piano non è di ostacolo
all’utilizzo dello strumento dell’accordo di programma.

3.4. La Sezione ritiene, infatti,
che la modifica di un piano territoriale paesistico possa rientrare
nel contenuto di un accordo di programma nei sensi di cui si dirà
oltre.

Non appare, infatti, condivisibile
l’interpretazione del TAR, secondo cui l’art.27, commi
4 e 5, della legge n.142/90 limita l’oggetto dell’accordo
di programma alla variazione dei solo strumenti urbanistici.

Con le suddette disposizioni
è stata dettata una disciplina specifica in caso di variazione
degli strumenti urbanistici di competenza comunale, ma non si è
limitato l’utilizzo dello strumento dell’accordo.

Del resto, l’istituto dell’accordo
di programma, già previsto nel nostro ordinamento da alcune
leggi speciali, è stato reso di generale applicazione dall’art.15
della legge n.241/90 e dall’art.27 della legge n.142/90.

Il rapporto tra le due norme
è un rapporto di genere a specie, assumendo gli accordi organizzativi
di cui al citato art.15 una valenza generale e gli accordi di programma
di cui all’art.27 una sotto-categoria relativa ad un’individuata
fattispecie ("definizione ed attuazione di opere, di interventi
o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa
realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di
province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti
pubblici").

In tale definizione devono essere
ricercati i limiti oggettivi dell’accordo, riferendosi le successive
disposizioni dell’art.27 alle modalità e agli effetti
dell’utilizzo dello strumento o alla disciplina di alcune particolari
ipotesi (come appunto quella prevista dai commi 4 e 5).

Non può negarsi che la
generalizzazione dell’utilizzo di tale strumento appare in
linea con l’ancora più generale tendenza del legislatore
a favorire l’esercizio consensuale della potestà amministrativa
(art.11 della legge n.241/90).

Nelle ipotesi di accordi tra
privati ed amministrazione è evidente che l’accordo
con i soggetti interessati garantisce l’esigenza del contemperamento
tra interesse generale ed interessi particolari dei privati e del
rispetto del principio di proporzionalità che impone di perseguire
l’interesse generale con il minor sacrificio possibile per
i privati.

A favore degli accordi tra diverse
amministrazioni pubbliche vi è una ragione aggiuntiva: il
pubblico interesse si presenta, sotto il profilo delle amministrazioni
che devono provvedere alla sua tutela, non come un’entità
unitaria, ma come una realtà frazionata (ciascuna organizzazione
amministrativa se ne occupa sotto uno specifico profilo).

In molti casi solo il positivo
esercizio di più poteri amministrativi autonomi consente
il raggiungimento dei risultati prefissati e l’accordo tra
le amministrazioni interessate costituisce il migliore strumento
per garantire una forma di coordinamento idonea al soddisfacimento
del pubblico interesse (o meglio dei diversi interessi pubblici,
di cui sono portatrici le differenti amministrazioni interessate).

Sulla base di tali considerazioni
di ordine generale risulta ancor più evidente la portata
generale dello strumento dell’accordo di programma, i cui limiti
oggettivi devono essere individuati con il solo riferimento all’ampia
definizione, contenuta nel primo comma dell’art.27 della legge
n.142/90.

L’individuazione dell’ambito
oggettivo in modo ampio, ed anche generico, evidenzia l’intenzione
del legislatore di rendere il più possibile generale lo strumento
dell’accordo di programma.

In tale ambito rientra senz’altro
il progetto per la reindustrializzazione ed il riassetto territoriale
dell’area costiera di Torre Annunziata, attuato con l’accordo
di programma in esame, trattandosi di un programma di intervento
che richiede l’azione integrata di comuni, province e regioni,
amministrazioni statali ed altri soggetti.

Infatti, il termine "interventi
o programmi di intervento", inserito nell’art.27, comma
1, in aggiunta alla "definizione e attuazione di opere"
deve essere interpretato come possibilità di utilizzo dello
strumento non solo per qualsiasi tipo di opera pubblica, ma anche
per la programmazione di attività ulteriori e complementari
rispetto alla realizzazione delle opere (come, nel caso di specie,
i previsti interventi a sostegno dell’occupazione).

3.5. Sulla base delle considerazioni
svolte risulta agevole risolvere la seconda questione prospettata
dagli appellanti: l’assenza di un limite territoriale, che
impedirebbe, secondo quanto affermato dal TAR, di modificare strumenti
(anche urbanistici) ultra comunali.

Anche in questo caso, tale limitazione
non trova fondamento nel dato normativo, in quanto, come già
detto, la previsione dell’art.27, comma 5, della legge n.142/90
introduce una disciplina specifica in caso di variazione degli strumenti
urbanistici di competenza comunale, senza limitare a tale ambito
l’utilizzo dello strumento dell’accordo.

Il riferimento, contenuto nel
primo comma della norma e relativo alla competenza a promuovere
la conclusione dell’accordo, conferma la possibilità
di utilizzare detto strumento anche in caso di opere ed interventi
di ambito provinciale o regionale.

3.6. Accertato, quindi, che
non esula dall’ambito oggettivo di un accordo di programma
la realizzazione di opere ed interventi che comportino la modifica
di un piano territoriale paesistico, deve essere affrontata l’ulteriore
questione relativa agli effetti dell’accordo con particolare
riguardo alla efficacia sostitutiva che tale accordo può
avere in relazione ai provvedimenti amministrativi necessaria in
via ordinaria per raggiungere l’effetto.

Con riguardo al caso in esame
la questione può essere così riportata: può
l’accordo di programma, che prevede anche la variante di un
P.T.P., derogare agli ordinari criteri di competenza, fissati dal
legislatore per l’approvazione di una variante ad un P.T.P.?

La Sezione ritiene di dare riposta
negativa al quesito.

Innanzi tutto, gli effetti discendono
direttamente dall’accordo, in quanto la fonte dell’accordo
è costituita dall’atto convenzionale, su cui è
intervenuto il consenso delle amministrazioni, svolgendo il decreto
di approvazione solo una funzione di esternazione.

L’effetto giuridico di
un accordo di programma è quello di obbligare le parti stipulanti
ad ottemperare agli impegni assunti con l’accordo, nel rispetto
delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione.

In mancanza di espressa disposizione
legislativa non appare, infatti, legittimo alcuno spostamento di
competenze e dal fatto che l’accordo venga approvato dal Presidente
della Regione non può certo derivare che con tale atto, avente
peraltro funzione di mera esternazione, si possano determinare modifiche
agli ordinari criteri di competenza.

In una precedente decisione
della Sezione era già stato rilevato che le funzioni di propulsione
e di approvazione dell’accordo riconosciute (in quel caso)
al sindaco, non implicano, in carenza di espressa previsione normativa,
il trasferimento di funzioni sostanziali che fanno capo al consiglio
comunale (cfr. Cons. Stato, VI, n.182/96)

Ciò comporta che, anche
in sede di conclusione dell’accordo, gli impegni assunti possono
riguardare soltanto ciò che era nella disponibilità
dei soggetti che hanno partecipato all’accordo.

In ipotesi di competenze attribuite
ad organi collegiali, la partecipazione all’accordo di diverso
organo dello stesso ente non può sostituire decisioni riservate
ad altro organo, a meno che tale organo non si sia già espresso
in via preventiva o non vi sia un’espressa previsione normativa.

Ad eccezione di tali ultime
ipotesi, la partecipazione di un organo non competente comporta
l’impegno da parte di questi a sottoporre la questione all’organo
competente, la cui decisione dovrà essere istruita e motivata
anche con specifico riferimento all’accordo di programma (nel
senso che un eventuale decisione in senso diverso da quanto previsto
nell’accordo dovrà essere supportata da adeguata istruttoria
e motivazione).

Del resto, gli appellanti e
la stessa avvocatura dello stato hanno richiamato, a fondamento
della tesi della possibilità di utilizzare lo strumento dell’accordo
di programma per variare piani paesistici, numerose leggi regionali
che prevedono e disciplinano tale ipotesi, argomentando che, qualora
l’art.27 della legge n.142/90 dovesse essere interpretato come
ha fatto il TAR, tali leggi regionali sarebbero tutte costituzionalmente
illegittime per contrasto con l’art.117 della Costituzione.

Si deve, invece, rilevare che
tali leggi, nel disciplinare in modo specifico le modalità
di utilizzo dell’accordo di programma in caso di variazione
di atti di pianificazione territoriale, non si pongono in contrasto
con l’art.27 della legge n.142/90 ed anzi espressamente prevedono
l’utilizzo di detto strumento anche in caso dei c.d. "procedimenti
aperti" alla partecipazioni di terzi, nei quali è prevista
la possibilità di proporre osservazioni e proposte da parte
dei soggetti interessati, di enti o associazioni di categoria.

Al riguardo, come già
detto in precedenza, la questione posta dall’Avvocatura dello
stato circa l’ammissibilità della partecipazione di
terzi in caso di "procedimenti aperti" assorbiti nell’accordo
di programma, è estranea all’oggetto del presente giudizio
di appello, non essendo stato riproposto il motivo assorbito in
primo grado.

Si rileva incidentalmente che
alcune leggi regionali prevedono l’anticipazione alla fase
istruttoria dell’accordo di programma della fase di presentazione
delle osservazioni (v. art.11, commi 4 e 5, della L.R. Toscana n.76/96)
e che, in mancanza di previsione legislativa, devono comunque essere
trovate in via interpretativa analoghe modalità idonee a
consentire la partecipazione al procedimento dei soggetti interessati,
prevista nei procedimenti ordinari (si ribadisce comunque che in
relazione all’accordo in esame tale questione non può
essere fatta valere, non essendo stato riproposto il relativo motivo
di ricorso).

3.7. Non può non rilevarsi,
però, che le stesse leggi regionali prevedono che "qualora
l’accordo di programma comporti modifiche a piani regionali
aventi valenza territoriale queste devono essere approvate dal Consiglio
regionale" (v. art.6 L.R. Lombardia n.14/93; art.6 L.R. Puglia
n.4/95; art.27 L.R. Valle d’Aosta n.11/98; art.7 L.R. Molise
n.17/99) o ratificate dal competente orano consiliare (v. art.11,
comma 7, L.R. Toscana n.76/96).

In nessuna legislazione regionale
è previsto che l’accordo di programma possa derogare
agli ordinari criteri di competenza, previsti per gli atti di programmazione
e pianificazione territoriale.

3.8. Nel caso di specie, quindi,
non essendosi mai pronunciato (né preventivamente, né
successivamente), il Consiglio regionale della Campania, competente
in via ordinaria ad approvare una variante al P.T.P., dall’accordo
di programma poteva derivare solamente l’impegno a sottoporre
per l’approvazione al competente organo consiliare le varianti
al P.T.P..

Secondo l’Avvocatura dello
Stato, anche ammettendo la necessità di una pronuncia del
Consiglio regionale, l’accordo di programma resta validamente
firmato con la conseguenza che solo al momento della effettiva modifica
del vigente P.T.P. sorgerebbe l’interesse al ricorso. Il motivo
addotto in primo grado dalla associazione ricorrente sarebbe, quindi,
inammissibile.

L’eccezione è infondata.

Come detto in precedenza, con
l’accordo di programma le parti stipulanti non si sono limitate
a prevedere la successiva modifica al P.T.P., ma hanno espressamente
convenuto che "la variante al P.T.P. sarà approvata
con decreto del Presidente della Giunta Regionale ai sensi dell’art.27
della legge n.142/90" (art.4, comma 2, dell’accordo).

Ferma restando la validità
dell’accordo per il resto, sussiste certamente l’interesse
al ricorso da parte dell’associazione Italia Nostra quanto
meno in relazione a detta disposizione dell’accordo, con cui
si è voluto espressamente modificare l’ordinario criterio
di competenza per l’approvazione di una variante al P.T.P..

Al riguardo, si osserva che,
come riconosciuto dal giudice di primo grado, l’originario
ricorso è nella sostanza diretto a contestare l’accordo
di programma e non solo il decreto di approvazione, avente funzione
di esternazione.

Infatti, pur potendosi ricavare
dalla stessa epigrafe del ricorso che l’impugnazione era diretta
anche contro l’accordo di programma, comunque, anche argomentando
diversamente, l’oggetto del giudizio deve essere individuato
in base a criteri sostanziali e non formali, verificando, anche
in base ai motivi, gli atti (pur non espressamente indicati tra
quelli impugnati) contro i quali il ricorrente ha mosso specifiche
doglianze (cfr., Cons. Stato, IV, n.465/1981). E non vi è
dubbio che i motivi di ricorso fossero diretti avverso l’accordo
in questione.

3.9. Premesso che l’accordo
di programma non può modificare gli ordinari criteri di competenza,
stabiliti per l’approvazione di un P.T.P., deve essere affrontata
un’ulteriore questione sollevata dagli appellanti: la rilevanza
a tal fine della partecipazione all’accordo del Ministro per
i beni e le attività culturali in considerazione del fatto
che il P.T.P. variato era stato approvato, in via sostitutiva, dallo
stesso Ministro.

A prescindere dal fatto che
l’accordo ha previsto l’approvazione della variante con
decreto del Presidente della Giunta Regionale e non con atto del
Ministro, si osserva che è del tutto irrilevante che il P.T.P.
in questione sia stato approvato dal Ministro.

Il P.T.P. è stato approvato
dal Ministro, che ha esercitato i poteri sostitutivi spettanti ai
sensi dell’art.1 bis, comma 2, della legge n. 431/85 in caso
di inerzia della Regione ad approvare i piani paesistici o i piani
urbanistico territoriali nel termine previsto.

La scadenza del termine per
l’approvazione dei piani da parte delle Regioni non determina
la decadenza dal potere di provvedere (cfr., Cons. Stato, VI, n.1560/98)
ed anche l’esercizio dei poteri sostitutivi statali (avvenuto
nel caso in esame) non determina l’esaurimento dei poteri regionali.

Al contrario, il potere sostitutivo,
comprensivo dell’adozione dei suddetti piani, ha come presupposto
l’inerzia della regione e l’assenza del piano paesistico
o del piano urbanistico territoriale.

Una volta esercitato il potere
sostitutivo da parte dello Stato, viene meno l’esigenza di
dare attuazione al primario interesse, costituito dal valore estetico
— culturale del paesaggio e di conseguenza cessa il presupposto
per l’esercizio del potere sostitutivo, rientrando nell’ordinaria
competenza della regione l’approvazione di varianti al piano
od anche la sostituzione del piano con altro successivo.

In sostanza, in relazione all’approvazione
dei piani ai sensi dell’art.1 bis della legge n.431/85, il
potere sostitutivo è esercitabile una tantum e non
attribuisce all’amministrazione statale anche il potere di
procedere alle varianti del piano.

Del resto, nella fase istruttoria
dell’accordo di programma, era stato lo stesso Ministero a
precisare che la variante al P.T.P. era di competenza della regione.

Infatti, nella nota del 22.2.2000,
prodotta dall’Avvocatura dello Stato, viene riepilogato l’iter
procedimentale preliminare alla conclusione dell’accordo e
viene evidenziato che durante la riunione tecnica del 14.5.1996
"il Ministero si dichiarava disponibile ad un approfondito
riesame della normativa del P.T.P., precisando comunque che la variante
di tale normativa era di competenza della Regione".

Ciò dimostra che il Ministero
non ha partecipato all’accordo nella veste di soggetto competente
ad approvare la variante al P.T.P..

Non può, quindi, dubitarsi
che la competenza ordinaria in ondine all’approvazione della
variante al P.T.P. spetta al Consiglio regionale della Campania,
che non si è, invece, mai pronunciato in merito.

4. Le considerazioni svolte
conducono a ritenere solo parzialmente fondati i ricorsi in appello
proposti, nel senso che l’accoglimento del motivo proposto
in primo grado non travolge l’intero accordo di programma ed
il suo decreto di approvazione, ma sola parte dell’accordo
(esternata con il decreto) in cui è specificato che la variante
al P.T.P. sarà approvata con decreto del Presidente della
Giunta Regionale (art.4, comma 2 dell’accordo).

Ne consegue che l’accordo
di programma resta valido e che dall’accordo deriva l’impegno
degli organi regionali intervenuti a sottoporre la variante al P.T.P.
al competente Consiglio regionale per l’approvazione.

In conclusione, gli appelli
riuniti devono essere accolti in parte ed, in parziale riforma della
sentenza di primo grado, deve essere disposto l’annullamento
della sola parte degli atti impugnati, in cui è prevista
l’approvazione della variante al P.T.P. con decreto del Presidente
della Giunta Regionale (art.4, comma 2 dell’accordo, approvato
con il decreto del Presidente della Giunta regionale), anziché
da parte del competente Consiglio regionale.

5. Ricorrono giusti motivi per
compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Sesta, previa riunione dei ricorsi in appello
indicati in epigrafe, li accoglie in parte e per l’effetto,
in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla i provvedimenti
impugnati nei limiti e nei sensi di cui in parte motiva.

Compensa tra le parti le spese.

Ordina che la presente decisione
sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma,
il 14-7-2000 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI
-, riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI Presidente

Sergio SANTORO Consigliere

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere

Paolo D’ANGELO Consigliere

Roberto CHIEPPA Consigliere
Est.

CARMEN MUCIO

Modificabilità
di un piano territoriale paesistico mediante accordi di programma
(*)

 

Con la sentenza n. 25/2001 il
Consiglio di Stato si pronuncia sulla questione dell’idoneità
dello strumento dell’accordo di programma ad introdurre modifiche
al contenuto di un piano territoriale paesistico.

La decisione offre significativi
spunti di riflessione, sui quali ci si soffermerà dopo una
breve analisi del contesto normativo, volta ad approfondire le due
seguenti questioni:

1) la portata e l’ambito di
applicazione dello strumento dell’accordo di programma concluso
tra diverse pubbliche amministrazioni, anche in relazione alla complessa
ed articolata procedura prevista dall’articolo 27 della legge n.
142/1990, come modificato dall’articolo 17 della legge n. 127/1997
(1, 0, 0);

2) la natura e le caratteristiche
di un piano territoriale paesistico ed i rapporti tra pianificazione
paesistica e territoriale.

La vicenda

L’associazione Italia Nostra
propone ricorso al TAR per l’annullamento del decreto con cui il
Presidente della regione Campania ha approvato e reso esecutivo
l’accordo di programma stipulato nel luglio 1996 tra la Regione,
il Comitato di coordinamento per l’occupazione, il Ministero del
tesoro, il Ministero dei beni culturali ed ambientali, l’amministrazione
provinciale di Napoli, il Comune di Torre Annunziata, il Consorzio
ASI di Napoli, con l’adesione dell’Ilva in liquidazione e della
SPI s.p.a., il quale prevedeva la realizzazione di un programma
per la reindustrializzazione, il riassetto territoriale e lo sviluppo
economico dell’area Torrese-Stabiese.

Il TAR accoglie il ricorso ritenendo
lo strumento dell’accordo di programma non idoneo alla modifica
delle previsioni di un piano territoriale paesistico.

Ricorre in appello la Regione,
chiedendo l’annullamento della decisione per errata applicazione
dell’articolo 27 della legge n. 142/90 e per non avere il TAR tenuto
conto del fatto che il piano paesistico è stato approvato
con atto del Ministro. Anche la IRITECNA s.p.a. chiede l’annullamento
della sentenza per violazione e falsa applicazione del citato articolo
27. Si costituiscono in giudizio la SPI, il Ministero del tesoro
e il Ministero per i beni e le attività culturali chiedendo
l’accoglimento dell’appello.

Il Consiglio di Stato dispone
la riunione dei due ricorsi in quanto proposti avverso la medesima
sentenza. Dopo un’analisi del contenuto delle modifiche apportate
dall’accordo di programma al piano territoriale paesistico, anche
in relazione al fatto che l’accordo prevedeva che la variante al
piano fosse approvata con decreto del Presidente della Giunta regionale,
i giudici dichiarano di condividere la tesi accolta dal tribunale
amministrativo della natura paesistica e non solo urbanistica del
piano territoriale paesistico, ma, a differenza del giudice di prime
cure, ritengono che la modifica di detto piano può costituire
il contenuto di un accordo di programma, strumento di portata generale
in relazione all’ambito oggettivo che lo stesso può interessare.
Quanto agli effetti dell’accordo, ed in particolare alla sua eventuale
efficacia sostitutiva di provvedimenti amministrativi, i giudici
di Palazzo Spada affermano che esso non può derogare agli
ordinari criteri di competenza fissati dal legislatore per l’approvazione
di una variante ad un piano territoriale paesistico. Irrilevante
in proposito risulta poi il fatto che il piano in questione sia
stato approvato dal Ministro nell’esercizio dei poteri sostitutivi
di cui all’articolo 1-bis della legge n. 431/1985.

Per quanto sopra esposto, i
ricorsi proposti in appello vengono giudicati parzialmente fondati.
Viene dunque disposto l’annullamento della parte degli atti impugnati
che prevede l’approvazione della variante al piano paesistico con
decreto del Presidente della Regione, ferma restando la validità
del contenuto dell’accordo di programma in quanto determinante l’impegno
degli organi regionali intervenuti a sottoporre la variante medesima
al competente Consiglio per l’approvazione.

L’accordo di programma

La produzione normativa degli
ultimi anni si caratterizza per lo sforzo di recupero della funzionalità,
dell’efficienza e dell’efficacia degli apparati amministrativi,
anche tramite il ricorso a strumenti e moduli mutuati dal diritto
privato. In tale ottica può essere inquadrata la diffusa
tendenza del legislatore a favorire l’esercizio consensuale e negoziale
della potestà amministrativa (2).

Tra i più importanti
modelli convenzionali propri del c.d. nuovo contrattualismo amministrativo,
ormai alquanto diffusi sia nella legislazione che nella prassi,
rientrano gli accordi stipulati tra pubbliche amministrazioni e
privati nonché quelli conclusi tra diversi soggetti pubblici
(3).

La funzione degli accordi tra
amministrazioni consiste in primo luogo nell’attuare un coordinamento
dell’azione dei diversi apparati amministrativi, in quanto portatori,
ciascuno in un determinato ambito, di uno specifico e ben delimitato
interesse pubblico, riducendo così i possibili conflitti
di competenza e le divergenze di indirizzi operativi (4). Ancora,
lo strumento consente di accelerare l’iter di formazione dei provvedimenti
mediante l’azione concertata tra le amministrazioni interessate,
evitando, nell’ottica di una sempre maggiore flessibilità
e semplificazione dei procedimenti, inutili duplicazioni (5).

Particolare rilievo in tale
contesto assume l’istituto dell’accordo di programma, figura organizzatoria
che, concepita in un primo momento nel quadro di una legislazione
speciale (6), approda, con le leggi sul procedimento amministrativo
e di riforma dell’ordinamento delle amministrazioni locali, ad una
normativa di principio, divenendo un istituto di generale applicazione
(7).

L’oggetto dell’accordo di programma
si può definire con riferimento alle competenze di più
soggetti pubblici nella realizzazione di “opere, interventi ovvero
programmi di intervento” (8): si tratta evidentemente di un ambito
alquanto ampio ed elastico, che comprende in sostanza tutte le opere,
gli interventi ed i programmi di competenza regionale, provinciale
o comunale. La legge n. 127/1997, come è noto, con i commi
8-10 dell’articolo 17, ha integrato e modificato la norma in esame
(9), estendendo in particolare l’istituto in argomento all’approvazione
di opere pubbliche comprese nei programmi dell’amministrazione e
per la cui realizzazione siano immediatamente utilizzabili i relativi
finanziamenti.

Possono partecipare quali soggetti
dell’accordo tutti i soggetti pubblici che devono necessariamente
essere coinvolti nel procedimento preliminare rispetto alla decisione
(10).

L’iniziativa compete al titolare
delle attribuzioni “primarie o prevalenti”, il quale convoca una
preventiva conferenza di carattere istruttorio (11), che costituisce
un segmento endoprocedimentale sostitutivo della c.d. fase preparatoria
del procedimento e la cui funzione consiste nel verificare la volontà
di ciascun partecipante rispetto alla stipula dell’accordo. Tale
conferenza si conclude con l’espressione del consenso unanime di
tutti i rappresentanti delle amministrazioni coinvolte (12), in
mancanza del quale il procedimento si arresta (13).

L’accordo raggiunto viene formalizzato
con la sottoscrizione di un documento, al quale segue l’approvazione
con atto formale dell’autorità che lo ha promosso (14).

Con riferimento alle varie fasi
del procedimento descritte, sorge il problema del momento in cui
si determinano gli effetti giuridici dell’accordo di programma.
In altri termini, ci si chiede se essi nascano dall’accordo o dall’atto
di approvazione. La tesi prevalente in dottrina è quella
secondo cui tale effetti sono prodotti dalla convenzione, mentre
all’approvazione si demanda il momento della esternazione, di verifica
della regolarità formale delle decisioni, contro il quale
devono essere indirizzate le eventuali contestazioni di terzi. La
norma, si osserva, prevede espressamente taluni precisi effetti
giuridici: se l’accordo viene adottato con decreto del Presidente
della Regione, produce gli effetti dell’intesa di cui all’articolo
81 del D.P.R. n. 616/1977, determinando le eventuali variazioni
degli strumenti urbanistici vigenti, con valore di concessioni edilizie.
Inoltre, ove esso comporti variazione degli strumenti urbanistici,
l’adesione del Sindaco deve essere ratificata dal Consiglio comunale
entro 30 giorni a pena di decadenza (15).

Ancora, ci si chiede se dall’accordo
di programma nascano vere e proprie obbligazioni, in modo da consentire
la qualificazione dello stesso come contratto, oppure se esso sia
riconducibile all’area del diritto pubblico, risolvendosi la c.d.
contrattualizzazione della procedura in una mera adozione di metodo
(16). Dalle due impostazioni derivano conseguenze rilevanti sotto
il profilo della disciplina: se infatti secondo gli autori che propendono
per la natura contrattuale dall’accordo nasce un vero e proprio
obbligo di esercitare la funzione amministrativa nel senso concordato,
per quanti invece sposano la tesi dell’accordo come preliminare
ai provvedimenti concordati l’effetto sarebbe solo quello di vincolare
l’amministrazione nel senso che l’esercizio del potere in violazione
dell’accordo si pone come illegittimo se non sorretto da specifiche
motivazioni in punto di interesse pubblico.

Tutto ciò premesso sull’istituto
accordo di programma, si cercherà qui di seguito di approfondire
la questione del ruolo che lo stesso può assumere nell’ambito
della pianificazione territoriale ed urbanistica.

Piano paesistico e pianificazione
territoriale

I piani paesistici sono stati
previsti e regolati per la prima volta dal legislatore con l’articolo
5 della legge n. 1497/1939 e con gli articoli 23 e 24 del relativo
regolamento, approvato con il R.D. n. 1357/1940 (17). Tale normativa,
rivolta alla protezione non di insiemi aventi rilievo paesaggistico,
ma di specifiche bellezze naturali, prescriveva un complesso procedimento
di individuazione di specifiche zone da sottoporre a vincolo in
quanto di particolare pregio ambientale ed introduceva il piano
territoriale paesistico quale strumento avente ad oggetto le cosiddette
bellezze di insieme (18). I decenni successivi sono stati caratterizzati,
anche in relazione alle innumerevoli pressioni ed aggressioni sul
contesto ambientale, da una accresciuta sensibilità per il
tema della tutela del paesaggio. In tale contesto, sulla scorta
della convinzione che gli aspetti fisico, naturalistico, estetico,
antropico, socio-economico e giuridico, tutti meritevoli di tutela,
devono trovare la giusta sede di composizione proprio nella pianificazione
territoriale, si è notevolmente ampliata la nozione di ambiente
(19).

Con il D.P.R. n. 8/1972 sono
state trasferite alle Regioni le funzioni amministrative in materia
urbanistica, nonché la redazione e l’approvazione dei piani
territoriali paesistici (20). Con il D.M. 21 settembre 1984 si è
proceduto, in un ormai diverso contesto di rapporti tra Stato e
Regioni, all’integrazione delle bellezze naturali contemplate negli
elenchi previsti dalla legge n. 1497/1939, considerate non più
singolarmente, ma come insiemi organici.

E’ peraltro con la successiva
legge n. 431/1985 (21) che il tema della salvaguardia paesistica
affrontato dalla legge del 1939 viene dilatato: la tutela ambientale
viene infatti intesa non più in senso puntuale, ma globale
e pianificatorio (22). Oltre ad integrare ex lege, mediante modifiche
dell’articolo 82 del D.P.R. n. 616/1977, gli elenchi delle bellezze
naturali, sottoponendo dunque una serie di immobili a vincolo paesaggistico
e dichiarando di interesse paesistico vaste parti del territorio
nazionale, tale normativa ha previsto, all’articolo 1-bis, la redazione
obbligatoria da parte delle Regioni di “piani paesistici o di piani
urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori
paesistici ed ambientali”, recanti la “normativa d’uso e di valorizzazione
ambientale” dei rispettivi territori con riferimento ai beni ed
alle aree di cui al comma 5 del citato articolo 82, come integrato
dalla legge Galasso (23).

Agli strumenti urbanistici,
come è noto, è attribuita la funzione di indicare
le specifiche destinazioni d’uso delle aree e degli edifici. I piani
paesistici, viceversa, non possono imporre determinate scelte tra
gli usi compatibili con la bellezza panoramica o per la stessa non
pregiudizievoli, né stabilire prescrizioni generali da specificare
ed attuare mediante uno strumento urbanistico comunale: ciò
sarebbe infatti in contrasto sia con il contenuto dello strumento
stesso, sia con le norme legislative sul rapporto tra i vari livelli
di pianificazione urbanistica. Nonostante tale differenza di fondo,
non è comunque escluso che un piano meramente urbanistico,
anche sovracomunale, preordinato alla definizione urbanistica del
territorio, ponga norme a tutela dell’ambiente, senza per questo
doversi definire piano di settore ambientale, né che un piano
paesistico, piano di settore preordinato alla tutela di interessi
pubblici diversi da quelli puramente urbanistici, possa assumere,
quanto al suo contenuto, rilevanza urbanistica (24).

Andando oltre, ed accogliendo
la prospettiva secondo cui ogni trasformazione del territorio, comunque
finalizzata, dovrebbe essere compatibile con la salvaguardia dell’ambiente,
non può non rilevarsi da un lato che ogni piano territoriale
regionale dovrà assumere anche una “valenza paesistica”,
che ne è una delle condizioni essenziali ed una delle materie
d’obbligo, dall’altro che ogni piano paesistico, che pure presuppone
la sussistenza di vincoli (25), riguarderà sia beni soggetti
a vincolo paesaggistico che beni non vincolati, nell’ottica
dell’individuazione di ambiti che siano significativi a fini
pianificatori. In tal senso il piano paesistico si configura come
strumento finalizzato non solo ad impedire interventi pregiudizievoli
alla bellezza panoramica ed al valore paesistico riconosciuto alle
vaste località assoggettate a vincolo, ma anche a tracciare
i lineamenti dell’assetto territoriale ed a perseguire la tutela
del territorio promuovendone, per ampie aree, il recupero ed il
restauro ambientale (26).

Proprio la previsione, contenuta
nell’articolo 1-bis della legge n. 431/1985, dell’uso alternativo
di due strumenti operativi – il piano territoriale paesistico, a
contenuto attuativo diretto, o il piano territoriale regionale,
piano territoriale urbanistico con specifica considerazione dei
valori paesistici ed ambientali – determina singolari sviluppi dei
rapporti tra pianificazione territoriale e pianificazione paesistica
(27). La disposizione, che si configura come norma assolutamente
generica in materia di tutela ambientale (28), da un lato sembra
consentire un generale ampliamento del contenuto del piano paesistico,
eliminando la necessaria e sostanziale distinzione del medesimo
rispetto al contenuto dei piani urbanistici (29). D’altro canto,
la legge n. 431, non prevedendo espressamente una sottordinazione
dei piani urbanistici rispetto ai piani paesistici – come ad esempio
è prescritto per i piani regolatori rispetto ai piani territoriali
di coordinamento -, delinea tra le due tipologie di strumenti un
rapporto di sostanziale separazione giuridica ed autonomia, potenziale
causa in concreto di molteplici inconvenienti (30).

In relazione a tale assetto
normativo, ed in considerazione del fatto che la pianificazione
paesistica non può configurarsi come un processo autonomo
od autarchico, dovendosi la stessa integrare nella pianificazione
territoriale – che a sua volta non può trascurare la salvaguardia
e la valorizzazione del territorio nel momento in cui ne postula
un’utilizzazione più razionale e/o una migliore fruizione
-, da tempo si auspicava dunque una riforma della legislazione sui
beni culturali che prevedesse, accanto alle funzioni di protezione
e di conservazione dei beni culturali, anche una tutela attiva degli
stessi, tramite un impegno comune in tal senso di tutte le istituzioni
pubbliche volto al coordinamento delle relative competenze. Il tutto
nell’ottica di “un principio di unità negli strumenti di
pianificazione”, da attuarsi grazie alla compartecipazione delle
amministrazioni competenti in materia urbanistica e di quelle preposte
alla tutela dei beni culturali. In particolare veniva da più
parti prospettata come soluzione quella di ricorrere alle sempre
più diffuse forme di intesa tra diverse pubbliche amministrazioni
statali, regionali o locali (31).

La citata disciplina di tutela
del paesaggio è stata di recente trasfusa nel testo unico
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali,
il D.Lgs. n. 490/1999 (32], il cui titolo II è dedicato ai
“beni paesaggistici e ambientali” e che, all’articolo 138, definisce
beni ambientali, sottoposti a tutela, sia quelli già previsti
dalla legge del 1939, e individuati mediante gli elenchi, sia quelli
specificamente indicati all’artico