VELENI NEL PARCO, CAMPI SOTTO SEQUESTRO

 






Nella zona si produce il pane di Altamura: altissimi livelli di cromo, piombo e arsenico nelle due aree al centro dell’inchiesta. Forse usate come discariche illegali o concimate con il «compost» formato dai rifiuti

Veleni nel parco, campi di grano sotto sequestro

Puglia, la Procura indaga su 300 ettari dell’Altopiano delle Murge. Trovate sostanze cancerogene 40 volte oltre i limiti



DAL NOSTRO INVIATO


ALTOPIANO DELLE MURGE (Bari) – Cromo, piombo, arsenico, metalli pesanti cancerogeni che superano anche di quaranta volte il limite massimo previsto dalla legge hanno inquinato, forse irreversibilmente, migliaia di ettari dell’altopiano carsico delle Murge e, ieri, hanno portato al sequestro, disposto dalla Procura di Bari, di 300 ettari di terreni coltivati a grano duro. Un’area che dal ’98 dovrebbe essere Parco nazionale, anzi il primo parco rurale italiano. Una zona che produce quel grano da cui si fa un pane speciale, il pane di Altamura, che ha da poco ottenuto dall’Unione europea il marchio dop, il più prestigioso riconoscimento di tipicità . Un territorio che negli anni è stato abbondantemente sfigurato, grazie anche ai finanziamenti pubblici europei e regionali, dallo «spietramento» – la riduzione in polvere delle rocce millenarie della pseudosteppa mediterranea, che è la Murgia, in aridi «terreni» coltivabili -, e che tuttavia ha resistito finché ha potuto con la sua flora, la sua fauna, i suoi pascoli.
Adesso, anche i superstiti sessantamila ettari a cui dopo tagli e ritagli è stato ridotto il Parco, non ce la fanno più. Come il Falco grillaio e il Lanario, i rapaci che Federico II di Svevia addestrava alla caccia, che non riconoscono più i luoghi come il proprio habitat naturale e stanno scomparendo. Adesso, si «scopre» che persino i terreni a coltivazione biologica sono stati «concimati» con ogni porcheria possibile, che sotto le rocce carsiche le falde di acqua (potabile) non sono mai state così a rischio – e in alcuni casi sono irrimediabilmente compromesse – e che già  quattro anni fa la facoltà  di Veterinaria dell’università  di Bari rilevò valori di cromo nel latte della Murgia quattro volte superiori ai limiti consentiti dalla legge.
Ieri, l’ultimo capitolo di questa lunga storia. La Procura di Bari, in seguito a una denuncia delle sezioni locali di Wwf, Legambiente, Torre di Nebbia, Coldiretti e Confederazione agricoltori, ha aperto un’inchiesta per disastro ambientale e ha sequestrato circa 300 ettari di terreno (due ettari sono addirittura di proprietà  del Comune di Altamura) in due zone diverse. La denuncia risale a due mesi fa ed è dettagliata: tra Altamura, Ruvo e Gravina di Puglia vengono indicate le aree in cui l’olezzo è insopportabile e dove, nonostante il «lavoro» degli aratri, sono ancora visibili fanghi tossici smaltiti direttamente sul suolo e rifiuti d’ogni genere.
I risultati delle prime analisi vanno al di là  di ogni pessimistica aspettativa. Nei casi più gravi, in un chilo di terra vengono trovati più di 5.000 microgrammi di cromo (il limite massimo è di 170 microgrammi) e 1.148 di zinco (limite massimo, 150). E’ subito evidente che si tratta di terreni usati come discariche illegali, forse dietro pagamento di qualche centinaio di milioni di lire ad agricoltori senza scrupoli. Ma emerge anche un’altra ipotesi inquietante. In alcuni fondi sarebbero stati utilizzati, come concimi, non meglio identificati prodotti di sintesi chimica che vanno sotto il nome di «compost». Prodotti che, secondo l’accusa, sarebbero stati forniti da un’azienda, la Tersan Puglia, negli anni scorsi coinvolta in altri procedimenti giudiziari legati allo smaltimento dei rifiuti. Una «macchia» che successivamente non impedisce alla medesima azienda di ottenere, attraverso una società  collegata, finanziamenti pubblici e autorizzazioni necessarie (dalla Provincia) a costruire un mega impianto di compostaggio da 800 tonnellate al giorno (di cui, 500 di fanghi) addirittura su un’area qualificata come Zona di protezione speciale. Mentre l’anno prima, nello stesso posto, a un’altra società , la Lastrabi, era stata negata un’autorizzazione analoga.
La Tersan si chiama fuori da ogni responsabilità  e dice: «La Murgia è inquinata, è vero, ma non da noi. Anzi, noi nel 1994 denunciammo lo smaltimento abusivo di fanghi». Insomma, l’unica certezza, condivisa da tutti, è che la situazione è gravissima. Ed ecco che vengono allertati i laboratori di analisi di diverse Asl, si teme un disastro nella catena alimentare – l’erba dei pascoli, il latte di pecore e mucche, i formaggi, l’acqua -, viene anche sequestrata una partita di cento quintali di grano, i sindaci di Gravina di Puglia e Altamura firmano ordinanze che vietano il pascolo e la coltivazione nel raggio di cinquecento metri dal confine (provvisorio) delle aree contaminate, mentre da più parti si chiede un’indagine epidemiologica sull’escalation sospetta dei casi di tumore negli ultimi quindici anni.
Cose già  viste, purtroppo, anche altrove. Allora cos’è che rende questa vicenda particolarmente intricata e angosciante? Un fatto molto semplice: tutto ciò che sta accadendo era stato già  detto e scritto tre anni fa. Non soltanto su questo giornale, ma anche in atti giudiziari. Per la precisione, in una causa per danni avviata dalla Lipu (la Lega per la protezione degli uccelli) contro la Regione Puglia. Quella è stata la prima volta che in Italia a un’associazione ambientalista si è riconosciuta la possibilità  di citare per danni un ente pubblico in seguito a uno scempio ambientale. Sulla base del principio che «l’ambiente va garantito come diritto fondamentale della persona umana», il presidente della Lipu in Puglia, Luigi Campanale, instaura un giudizio davanti al giudice civile e accusa la Regione di «malagestione» della Murgia, dall’estinzione delle specie protette all’inquinamento del suolo e delle falde acquifere.
Sono seguiti tre anni di silenzio e di mancati controlli, quando invece si poteva conoscere tutto, o quasi, già  da allora. Certo, quella causa per danno pubblico ambientale ora è in dirittura d’arrivo e forse tra qualche mese il giudice del Tribunale civile di Bari, Giuseppe Rana, pronuncerà  la sua sentenza. Ma non si può tacere la circostanza che Rana non abbia fatto eseguire una perizia che fosse una su quei terreni e quelle falde, che adesso invece il magistrato penale deve affannarsi a far periziare da squadre di consulenti. Insomma, è accaduto che una causa per danno pubblico ambientale abbia ottenuto minori accertamenti di un incidente stradale.
I tre anni di silenzio sulla causa mossa alla Regione Puglia e sull’assenza di controlli, sopralluoghi e perizie hanno riguardato anche Parlamento, consigli regionale e provinciale, e consigli comunali (eccetto Ruvo e Andria, fra i tredici Comuni del Parco della Murgia), dove non c’è traccia di un’interrogazione, una domanda, un singulto. Ma all’improvviso, ecco che parlano tutti, a tutti i livelli, e si rimpallano le responsabilità  l’un l’altro. Il «governatore» pugliese Raffaele Fitto (centrodestra) accusa il presidente della Provincia Marcello Vernola (centrosinistra) di aver concesso autorizzazioni con troppa leggerezza e Vernola rimprovera a Fitto di non far nulla nonostante il suo ruolo di commissario straordinario all’emergenza ambientale. Non c’è che dire, hanno ragione entrambi. Ma non sono soli. Con loro, una nutrita pattuglia, che potremmo definire di «professionisti dell’ambientalismo», disseminati un po’ in tutti i partiti, che prima non vede e non sa, e poi si astiene o vota a favore (come gli assessori provinciali Nicola Occhiofino, di Rifondazione, e l’ex deputato verde Vito Leccese) per la costruzione in zona protetta del mega impianto di compostaggio e infine, ora che il cromo e il piombo gli sono arrivati in casa, esce coraggiosamente a combatterli.

Carlo Vulpio
cvulpio@corriere.it