Maestri dei nostri figli

Stamattina mi sono fermato a casa, avendone la possibilità e potendo assolvere ai miei impegni a distanza. Mi sono trattenuto perché tenevo ad “accompagnare” i miei due figli, la maggiore per giunta al termine di un ciclo scolastico, nel loro ultimo giorno di scuola.
A tratti ho potuto ascoltare le loro parole e quelle dei loro docenti, i saluti, gli arrivederci e gli addii, veicolati attraverso telefono o tablet. Ho percepito, nitidamente, l’emozione loro e soprattutto dei docenti, anche le lacrime. Di un sentimento pulito e spontaneo. Un’umanità insopprimibile e irrefrenabile. Ingenua, si direbbe ora.
Mi hanno fatto venire alla mente le parole pronunciate da Eleonora Pimentel Fonseca prima di essere condotta al patibolo nel 1799: “proprio della democrazia e perciò della vera libertà è rendere i popoli dolci, indulgenti, generosi, magnanimi. All’indulgenza con cui mi avete ascoltata, al generoso favore che colla voce e colle mani mi dimostrate, conosco che Napoli è libera”. Le ascoltai, per la prima volta, in occasione di un convegno organizzato diversi mesi fa dall’associazione AlGraMa, riprese dal Monitore Napoletano (n. 14 del 23 marzo 1799) di cui mi fornì una fotocopia l’avvocato Gianni Moramarco.
Mi sono tornate alla mente per il grande, faticoso e paziente lavoro svolto dal personale scolastico, in tutte le sue componenti, in particolare dai docenti. Un lavoro spesso messo in ombra dalle polemiche sulla didattica a distanza e che proprio la didattica a distanza, invece, ci ha consentito di apprezzare con maggiore evidenza e immediatezza.
Mi sono tornate alla mente perché il compito della didattica e dei maestri è proprio quello di formare a questo genere di libertà, che impegna ad affrontare l'”inferno dei viventi” nel modo più arduo, spesso doloroso, tra i due segnati da Calvino, vale a dire cercando e sapendo riconoscere “chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. O, per dirla con Danilo Dolci, imparando a “distinguere il buono già vivente, sapendolo godere, sani, senza rimorsi, amore, riconoscersi con gioia”.
È la libertà che deriva dalla conquistata capacità di cogliere e salvare il (poco o tanto di) buono che è in mezzo a noi, di alimentare generosità, di rispettare il lavoro, l’impegno e i limiti altrui.
Questa libertà, che ci fa essere indulgenti e generosi, non significa non vedere i problemi, essere accondiscendenti o stupidi, accettare supinamente che le cose vadano per il verso loro. Ma mettere in conto che il mondo e la realtà sono imperfetti, perché noi siamo imperfetti e i difetti degli altri sono i nostri difetti.
A questa maturità/libertà si arriva con un lungo percorso, con una scuola e maestri che aprono menti e cuore, con la cultura e l’esperienza, educandosi, giorno dopo giorno, a parole e gesti di simpatia e premura che rinnovano il patto di ognuno col resto della specie umana.
Per questa educazione, sono grato al lavoro e all’impegno del personale scolastico (docenti, amministrativi, tecnici, dirigenti), di quanti sono e sanno essere Maestri dei nostri figli.