dal nostro inviato CLAUDIA MORGOGLIONE
VENEZIA – Italia, anno 2002. L’Italia vera, raccontata quotidianamente nelle pagine dei giornali. L’Italia delle eterne ingiustizie, delle mille emergenze, dell’intolleranza. Ma anche delle lotte per un futuro diverso. C’è anche questo, tra le pieghe di una Mostra del cinema tutta concentrata sui film “grandi”, sui divi più attesi. Una specie di tesoro nascosto (in termini di riflessione sull’attualità ) che vale senz’altro la pena di scoprire.
A far emergere questo lato “alternativo” del fare cinema, più aderente alla realtà e più interessato al nostro presente così com’è, sono i documentari presentati nella sezione più innovativa della rassegna, chiamata “Nuovi territori”. Alcuni di scena oggi, altri in programma nei prossimi giorni. Ecco i più interessanti.
La vergogna di Marghera
Uno dei grandi scandali italiani: lo stabilimento petrolchimico che per anni inquina e intossica persone e ambiente, centinaia di dipendenti morti per le esalazioni, un lungo processo, dirigenti imputati di omicidio preterintenzionale e disastro colposo, nessun colpevole. Come se quella sistematica violazione della salute pubblica non fosse mai esistita. Per non dimenticare, arriva adesso Porto Marghera, Venezia: un inganno letale. Lungo 56 minuti, diretto da Paolo Bonaldi, racconta la lotta di un operaio, Gabriele Bertolozzo. La sua battaglia, la sistematica raccolta di prove contro chi poteva prevenire la tragedia. E invece è stato recentemente assolto in tribunale.
Insieme a lui, sul grande schermo, diversi personaggi noti, da Felice Casson a Gianfranco Bettin. “Sono cresciuto in uno dei quartieri a ridosso delle fabbriche”, racconta il regista, “lo si vede anche nel film. Perciò volevo che il mondo sapesse quanto pesa sulla Laguna e su Venezia la scelta scellerata e irresponsabile di cinquant’anni di produzione selvaggia”. Insomma, un’esigenza personale. Ma forse anche un tributo che la Mostra, che si affaccia su quella stessa Laguna, doveva ai suoi concittadini.
Storia di un immigrato particolare
Girato da Guido Chiesa, già regista del film Il partigiano Johnny, il breve documentario Il Contratto (dura 15 minuti) porta sugli schermi del Lido la storia di Jadelin, venticinquenne che vive a Bologna. Treccine rasta, pelle nera, il ragazzo rischia adesso l’espulsione. Una vicenda come tante? In un certo senso sì. Ma a renderla paradossale è il fatto che Jadelin non è un immigrato, diciamo così, dell’ultima ora. Perché in realtà vive in Italia da 21 anni, da quando è arrivato per raggiungere il padre: un ricco immigrato congolese che viveva in Romagna.
A Imola, il giovane extracomunitario trascorre infanzia e giovinezza in una casa lussuosa, con tanto di Jaguar e maggiordomo. Poi però la situazione familiare cambia, i genitori fanno bancarotta e lasciano il Paese. E così adesso, per una serie di inadempienze burocratiche e di assurdità nella legislazione, Jadelin (tutta una vita trascorsa in Romagna, come mostra il puro accento imolese) potrebbe essere espulso. Nell’Italia sempre più intollerante verso gli extracomunitaria, nell’Italia della legge Bossi-Fini. “Ho deciso di narrare la sua storia”, racconta Chiesa, “perché lui è un personaggio che sfugge a tutte le categorie della sociologia da mass media. Dimostra come un discorso sull’immigrazione non può usare solo parametri economici o di pubblica sicurezza”.
Il viaggio del Disobbedienti
Mezz’ora di documentario e un titolo efficace (Con la Palestina negli occhi) per raccontare un’esperienza in cui si intrecciano gli umori profondi di una fetta della società civile italiana e una delle ferite più gravi dello scenario internazionale. Girato da Vittorio Giorno e Federico Mariani, questo mediometraggio racconta infatti il periodo dal 17 marzo al 6 aprile 2002, quando nel pieno del durissimo assedio israeliano ai Territori, duecento Disobbedienti del nostro Paese andarono proprio in quella zona del mondo.
Mentre le aree sotto il controllo dell’Anp venivano occupate, e il presidente Yasser Arafat era ostaggio nel suo bunker, gli uomini e le donne di Genova e di Porto Alegre raccontano la loro visione della realtà . Quella per cui, come dice il titolo del film collettivo sul G8, Un altro mondo è possibile.
(3 settembre 2002)