A A A nuovo scrittore Ri/cercasi

La Gazzetta del Mezzogiorno
Martedì 29 Ottobre 2002

Ci sono, ci sono. I nuovi scrittori italiani, ci sono. Chi pensava che fosse iniziata una fase di depressione, dopo un decennio di personalità  perlopiù giovani che hanno rimescolato le carte e cambiato le regole del gioco, si è dovuto ricreder all’ultima edizione di “Ricercare”, il laboratorio di nuove scritture che si è tenuto per tre giorni come da tradizione decennale a Reggio Emilia. Dieci anni: un numero buono per fare il bilancio di una esperienza di confronto diretto tra autori e critici, sui testi, che è unica in Italia. E il rendiconto non è difficile: dei 150 autori ch esono passati al vaglio reggiano più della metà  ha pubblicato almeno un libro, un buon quarto più di uno ed una quindicina di loro si divide con alterno successo tra grandi case editrici, pagine di giornale e salotti televisivi.
Ma è la quantità  di scrittori, l’aspetto più importante, l’ondata, il flusso, come dice con lessico idraulico il critico Renato Barilli. Ma se la presenza a “Ricercare” di Silvia Ballestra, Aldo Nove, Tiziano Scarpa, Giulio Mozzi e Mauro Covacich, impegnati in una tavola rotonda, è già  una prova del succo prodotto fino a ieri, la domanda urgente era: ce ne saranno di nuovi? Come saranno? che diranno? Oppure incombe – come avverte Francesco Leonetti – una stagione plumbea di ritorno al classicismo (mascherato da classicità  perché non hanno la sfacciataggine di dire davvero di che si tratta?)
Questioni di non poco conto, come indica la presenza a Reggio di Paolo Repetti e Severino Cesari (doppia anima dello Stile libero di Einaudi) e di Benedetta Centovalli, curatrice della collana Sintonie per Rizzoli. A queste domande “Ricercare” ha fornito due risposte: una attraverso il confronto – guidato da Giuseppe Caliceti – ra una decina di piccoli editori e curatori di riviste (da Massimo Canalini di Transeuropa a Marco Cassini di Minimum Fax, da Luigi Bernardi di DeriveApprodi a Michele Trecca della foggiana Booksbrothers Zerozerosud), l’altra con il laboratorio di otto letture di testi inediti, discussi all’impronto da una pattuglia di critici militanti.
Buone notizie da entrambi i fronti. I piccoli editori sono tuttora sommersi dai manoscritti di autori inediti, qualcuno arranca nella lettura ma non rinuncia ad andare in avanscoperta, ad avventurarsi in una pluralità  di percorsi, come ha notato Trecca, raccomandando di tenere aperti i “possibili” e di evitare la prigionia delle etichette.
Degli otto autori ch ehanno letto in pubblico, sei sono dotati di buona energia e tra questi almeno tre già  maturi per un libro: Tullio Avoledo, Umberto Casadei e Francesco Dezio. Se il lavoro critico consiste anche nel traguardare l’affermarsi di tendenze , una è senz’altro il riemergere del tema del lavoro sia pure con modalità  differenti. E non è un caso che si intreccia con l’ingegneria finanziaria e le ristrutturazioni aziendali nel romanzo – di Avoledo (un 45enne friulano al quale Leonardo Sinisgalli sconsigliò nel ’75 di continuare a scrivere poesie, 0, 0); c’è la giovane caporeparto di una azienda di telefonia mobile, alle prese con il matrimonio e il viaggio di nozze in Messico, protagonista delle pagine del lombardoveneto Giorgio Falco; c’è il post-operaio della post-industria che pratica al sud il lavoro post-flessibile, nelle pagine del’altamurano Dezio, già  uscito con un libriccino quest’anno (Via da qui), di cui l’inedito presentato a Reggio Emilia è una prosecuzione. La sua è, al contrario di quella raffreddata e semplificata di Avoledo, una lingua magmatica, che accumula detriti di linguaggio tecnologico ed espressioni dialettali, con un ritmo denso ed una sintassi inconclusa, molto evocativa nel parlato. Le esperienze adolescenziali, che erano la materia dominante delle proposte degli ultimi anni, si ritirano in secondo piano portandosi dietro anche quella caratteristica prosa minimalista e ingenua. Laddove l’esperienza giovanile si misura con una ricerca espressiva i risultati sono apprezzabili, come nel caso del racconto grottesco, gogoliano, di Gabriele Picco, in cui si dà  il caso di un piede svanito dopo un lungo succhiamento erotico da parte dell’amante del legittimo proprietario. Così Umberto Casadei, che accumula lingua su lingua, in una scrittura tautologica, per dire le vicende di un gruppo studentesco alle prese con il tema della fame del mondo.
Naturalmente l’orizzonte adolescenziale, o addirittura infantile, rimaane una facile trappola, nella quale è caduto Gianluca Di Dio, che spreca qualche buona occasione, raccontando, in uno stile inadeguatamente mimetico, di un ragazzino decenne che scambia le sue figurine dei pokémon con i santini collezionati dalla nonna morente. DEl tutto fuori luogo, in un laboratorio di scrittura come quello di Reggio Emilia, la prova di Anna D’Elia, barese, con pagine in cui affronta temi capitali: la nascita e la morte, la malattia e la maternità . Del tutto inconsapevole come è apparsa della gravità  di implicazioni, che il gesto produce, ha disinvoltamente mutato la prima personale del narratore in una terza persona, e ciò nonostante non è riuscita a migliorare quell’impasto (come ha notato acutamente reinhard Sauer) di morboso piacere della mortificazione, tipico del cattolicesimo meridionale. In definitiva un esempio di autoanalisi femminile come si usava trent’anni fa, a distanza siderale dalle urgenze poste dalla ricerca attuale.
Cui invece dimostrano di non essere estranei i giovani animatori del gruppo torinese Sparajurij ch ehanno concluso le letture con una performance che rende giustizia del loro lavorare in laboratorio, forse con una troppo esibita adesione ai modelli delle avanguardie storiche e frequentazione della tradizione letteraria. Ma, divertenti e dirompenti, quelli di Sparajurij hanno riproposto con efficacia la possibilità  di una scrittura collettiva e sovversiva, che incrina la figurina consolatoria del “giovin scrittore”.
Non di bella prosa né del candore selvaggio, ma di tali incursioni in territori inesplorati della espressione avviamo bisogno e “Ricercare” asseconda questo lavoro, anche frastagliando le sue attività . Con l’apprezzato confronto fra quattro poetesse, allestito da Tommaso Ottonieri ch ha riunito sul palco del teatro Zavattini , Ilaria Drago, Giovanna Marmo, Isabella Bordoni e Mariangela Gualtieri in un compatto reading. – Con la finestra aperta da Reinhard Sauer sulla nuova leteratura tedesca di sperimentazione, vano in cui hano fatto capolino le pagine del sudtirolese Joseph Zoderer, della berlinese (orientale) Annett Groeschner e del turco-tedesco Feridun Zaimoglu, al centro di una feroce contestazione, in queste settimane, per la pubblicazione del suo nuovo romanzo: German Amok (Furia tedesca).
Al lavoro, al lavoro, la ricreazione è finita.

Nicola Signorile