Silvio Berlusconi ha dato i numeri per il sesto giorno consecutivo, ma c’è del metodo nell’apparente follia. Quello del premier è ormai un attacco sistematico alla ricerca dei punti di cedimento della democrazia, una serie di spallate per vedere quanto può procedere il progetto di una terza repubblica autoritaria in un’Italia stanca, rassegnata e manipolata da un apparato mediatico-governativo senza precedenti.
Ieri a Udine, nel comizio per le regionali, il premier non ha perso l’occasione, che non c’entrava naturalmente nulla, per stilare l’ennesima lista di epurazione e per attaccare con nomi e cognomi magistratura e informazione indipendente, due tipiche ossessioni delle personalità autoritarie. Quindi è andato oltre, con una specie di pronunciamento sudamericano nei confronti dell’opposizione. “Non esiste alternativa democratica al centrodestra”, ha stabilito.
E ove non fosse chiaro, ha aggiunto: “Non sarà consentito a chi è stato comunista di andare al potere”. Da oggi insomma non decidono più gli elettori italiani. Ha già deciso lui, Berlusconi, che ha portato al potere gli ex fascisti in un paese dove l’unica dittatura è stata nera e non rossa. E come, con leggi speciali? Con un editto imperiale, una bolla papale?
Si vorrebbe difendersi con l’ironia, ma è passata la voglia. Questo Berlusconi fa paura.
È l’unico in Occidente a sommare il massimo potere politico, economico e mediatico, ai quali vorrebbe aggiungere anche quello giudiziario. Ed è l’unico a lamentarsi di “non comandare abbastanza”. Il vittimismo dei potenti fa sempre un po’ schifo ma nel suo caso, elevato al cubo, mette i brividi.
Berlusconi non parla come un governante democratico ma come uno dei generali argentini anche loro fratelli di P2. Che cosa significa “non si può consentire a chi è stato comunista…”? È un’offesa quasi razziale, da razzismo delle idee, a un terzo almeno d’italiani che hanno votato per il Pci e per i suoi eredi. Compresi alcuni, non pochissimi, passati alla corte di Arcore.
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Senza contare che gli ex comunisti sono appena stati al governo, ci sono rimasti per cinque anni e hanno consegnato le istituzioni democratiche in uno stato migliore di quanto non lo stanno riducendo le guerre civili del cavalier Berlusconi. Tutto si può dire dei governi dell’Ulivo ma non d’aver creato un regime. Sono stati “l’anti regime per eccellenza”, come scriveva il vecchio liberale Montanelli.
Hanno permesso al capo dell’opposizione di arricchirsi e allargare a dismisura il controllo dei media, gli hanno dato una mano ad allungare i tempi dei processi e teso l’altra, fino a bruciarsela, per trovare un accordo nella Bicamerale.
Berlusconi dovrebbe ringraziare il cielo d’aver incontrato sulla sua strada i feroci “comunisti” piuttosto che, per dire, i gentili liberali francesi che quando è sceso in campo un imprenditore dello spettacolo (Bernard Tapie) con tanto di tv, giornali e squadra di calcio, hanno fatto in modo di farlo finire in galera.
Ma opporre ragioni e argomenti ai furiosi pronunciamenti di Berlusconi è perder tempo. L’uomo non contempla il confronto. Al prossimo riconosce al massimo il ruolo di servo o porgitore di microfono deferente e muto, come il Socci di Excalibur, di fronte al suo disprezzo padronale per leggi e regole, per la storia dei vivi e dei morti.
Non si può discutere con uno che per fare un complimento a Scajola riesce a offendere ancora la memoria di Marco Biagi. “Scajola ha dovuto dimettersi per una parola dal sen fuggita. E che non era campata in aria ma veniva fuori da tutta una serie di suggestioni che gli erano state rivolte”. Tradotto dall’eloquio tartufesco: Claudio Scajola aveva ragione a dare del “rompicoglioni” a Marco Biagi. Un orrore che richiamo l’altro, in morte del professor D’Antona: “Vittima di un regolamento di conti a sinistra”.
Non si può discutere ma soltanto vergognarsi di un premier che si fa intervistare dal New York Times per spargere sul conflitto d’interessi bufale come questa: “Abbiamo avuto un referendum in cui è stato chiesto agli italiani se io dovessi o meno vendere e loro hanno detto di no”. Quando mai c’è stato un referendum simile in Italia? Ma il nostro statista se l’inventa e lo rivende al volo, complice un giornalista disattento, ché tutto il mondo è paese e anche gli amici americani sono dei fessi destinati a bersi qualsiasi cosa lui dica.
Una spallata dopo l’altra, una menzogna dopo l’altra, Berlusconi non si fermerà fino a quando non avrà stravolto le istituzioni, ridisegnandole a immagine e somiglianza del proprio fanatismo. La sua è una guerra assoluta all’altra metà del Paese. Berlusconi è l’ultimo combattente ideologico della nostra epoca, a parte Fidel Castro. Il fatto che il suo governo sia stato democraticamente eletto (con il 45 per cento, non il 90) non è garanzia automatica di governo democratico. Nella storia molti regimi sono cominciati con libere elezioni e sono finiti nell’autoritarismo.
Come? Andando ogni giorno all’assalto dei poteri di controllo, magistratura e informazione, opposizione parlamentare e sindacati, esattamente com’è nell’Italia di Berlusconi. Il Quirinale è risparmiato soltanto a parole e su Ciampi, impegnato nella disperata missione di ricordare al premier l’abc della democrazia, è sospesa la spada di Damocle della riforma presidenzialista.
Forse è venuta l’ora per l’opposizione di rinviare a tempi migliori le beghe interne e trovarsi tutta insieme a discutere di una vera e grave emergenza democratica. Prima che sia tardi.
(12 maggio 2003)