ILLEGITTIMI I RINNOVI ALLA TRADECO? UN MILIONE E MEZZO DI EURO DA PAGARE?




All’attenzione


del Sindaco di Altamura, avv. Rachele Popolizio


della Giunta comunale


del Segretario comunale, dott. Raffaele Palermo


del Dirigente del I Settore, dott. Berardino Galeota


del Dirigente del Settore Ambiente, ing. Giovanni Mona


 


– Palazzo di Città  –


ALTAMURA


 


OGGETTO: deliberazioni G.C. n. 290 del 21.05.2000 ed altre. Avvio del procedimento di verifica della legittimità . Osservazioni. 


 


Il giorno 23 giugno 2004 ho chiesto ed ottenuto di visionare il fascicolo, disponibile presso il Servizio Contenzioso di questo Comune, relativo al giudizio n. 628/02 R.G., Tradeco c./Comune di Altamura, pendente innanzi al Tribunale di Bari – Sezione distaccata di Altamura. Ho chiesto ed ottenuto di acquisire copia di alcuni dei relativi atti.



Dando seguito alle dichiarazioni rilasciate in sede di discussione del Bilancio di previsione 2004 (Consiglio Comunale del 27 maggio 2004) in cui, tra i motivi che mi inducevano ad esprimere voto contrario, segnalavo l’anomala eccessività  delle somme destinate sia alla gestione giudiziale e stragiudiziale dei contenziosi (consulenze, parcelle, ecc.) sia a far fronte alle situazioni di soccombenza ed alle relative passività  pronunciate da numerose sentenze che vedono coinvolto l’ente comunale, ho voluto comprendere lo stato del procedimento menzionato che – considerata anche l’entità  delle somme in contestazione – è stato oggetto di riferimenti e commenti in numerosi interventi di consiglieri comunali (compreso lo scrivente). 


Dall’esame del fascicolo ho ricostruito l’intera vicenda in questi termini:


         con contratto stipulato il 12.03.1993 veniva rinnovato alla ditta Tradeco s.r.l. l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, fissando la scadenza alla data del 30.11.1999;


         con deliberazione n. 820 del 25.11.1999 la Giunta Comunale prorogava l’affidamento del servizio in scadenza alla medesima ditta per una durata di sei mesi, vale a dire dall’1.12.1999 al 31.05.2000, in forza dell’art. 47 del capitolato d’oneri il quale prevedeva che «l’impresa è tenuta ad assicurare il servizio oltre il termine di scadenza del contratto, alle stesse condizioni contrattuali dell’appalto scaduto, dietro invito scritto dell’Amministrazione preceduto da regolare deliberazione»;


         a causa di contrasti (la ditta aveva peraltro sospeso il servizio dall’1.12.1999) e di controversie giudiziali, fra il Comune e la Tradeco veniva sottoscritto un contratto di transazione, che circa due anni fa è stato impugnato dal Comune (causa pendente dinanzi al Tribunale di Bari – Sezione distaccata di Altamura) e su cui è stata avviata un’indagine della Procura regionale presso la Corte dei Conti le cui conclusioni sono state in gran parte confermate con una sentenza di primo grado che ha ravvisato profili di responsabilità  contabile in capo a diversi amministratori comunali (si avvia a conclusione – ricordo – l’appello presso le Sezioni Centrali della Corte dei Conti);


         nell’art. 2 di tale transazione le parti convenivano che il contratto di appalto avrebbe esplicato «la propria efficacia fino alla data di effettiva cessazione del servizio», confermando quindi le precedenti pattuizioni contrattuali, anche quelle relative alla determinazione del corrispettivo;


         il corrispettivo previsto nel contratto del 1985 e successivamente in quello del 1993 non era commisurato alla quantità  dei rifiuti urbani raccolti e smaltiti, ma era stabilito in una misura fissa, un canone fisso;


         con la deliberazione n. 290 del 31.05.2000, la Giunta comunale rinnovava l’affidamento del servizio alla ditta Tradeco di altri sei mesi (dall’1.06.2000 al 30.11.2000), «alle stesse condizioni contrattuali dell’appalto in scadenza il 31.05.2000 [e prendendo parzialmente atto di quanto dalla Tradeco comunicato (ndr: nota dell’8.05.2000 con la quale la ditta comunicava che qualora il Comune avesse voluto ulteriormente rinnovare il contratto avrebbe dovuto riconoscere, quale corrispettivo per il solo smaltimento in discarica, una tariffa pari a -£ 103.000 per tonnellata di rifiuto smaltito)] con la sola eccezione del costo di smaltimento dei rifiuti in discarica che si determina in -£ 80.000 per tonnellata»;


         la ditta firmava tale nuova deliberazione, accentandone il contenuto, contestando ed esprimendo formale riserva in ordine al prezzo di smaltimento che, secondo la Tradeco, era stato unilateralmente determinato dal Comune in -£ 80.000 e non, come richiesto dalla ditta, in -£ 103.000;


         di sei mesi in sei mesi, il contratto è stato rinnovato dal Comune (con le deliberazioni di Giunta n. 580 del 30.11.2000; n. 225 del 31.05.2001; n. 526 del 29.11.2001) sino all’entrata in vigore (febbraio 2002) del nuovo rapporto contrattuale, esito della gara d’appalto espletata nell’estate-autunno 2001 (su cui, ricordo, la Procura regionale presso la Corte dei Conti ha avviato un’indagine di cui si è avuta notizia in occasione della Relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2004 del Procuratore Regionale, dott. Francesco Lorusso);


         tali rinnovi contrattuali sono stati accettati dalla Tradeco sempre con la riserva relativa alla tariffa di smaltimento (-£ 80.000, anziché le 103.000 lire richieste dalla ditta).



La circostanza sconcertante – più volte fatta rilevare in consiglio – è che le Amministrazioni comunali al governo nel periodo interessato dai rinnovi, quasi paralizzate, non hanno chiarito, dal punto amministrativo e formale, nulla.


Il Comune, infatti, pur avendo riconosciuto nella deliberazione del primo rinnovo (la n. 290 del 31.05.2000) che il costo di smaltimento era determinato in -£ 80.000 per tonnellata di rifiuti smaltiti, non ha corrisposto alla ditta nei 20 mesi di affidamento del servizio successivi (sino al febbraio 2002) né l’importo richiesto dalla Tradeco (vale a dire -£ 103.000 per tonnellata), né la somma determinata dal Comune nella deliberazione n. 290 del 21 maggio 2001 (vale a dire -£ 80.000 per tonnellata).


In altri termini, pur avendo riconosciuto con tale deliberazione un corrispettivo (quindi un debito) di 80.000 lire per tonnellata di rifiuti smaltiti nella discarica di Via Carpentino, ha di fatto continuato a applicare le condizioni contrattuali pregresse (il canone fisso e forfetario previsto nel contratto del 1993).  


La Tradeco, inevitabilmente ed inesorabilmente, dopo svariate richieste di pagamento, il 16 luglio 2002 ha citato in giudizio il Comune di Altamura chiedendo al Tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, di condannarlo a pagare circa 2 milioni di euro oltre interessi e rivalutazione monetaria (la somma risulta dalla moltiplicazione di 44.337 tonnellate smaltite in discarica nei venti mesi contestati per € 53,19, cioè le 103.000 lire richieste originariamente dalla ditta) o, in via subordinata, circa un milione e mezzo di euro oltre interessi e rivalutazione monetaria (vale a dire 44.337 tonnellate per € 41,32, cioè le 80.000 riconosciute dal Comune come corrispettivo dello smaltimento in discarica di una tonnellata di rifiuti).


Ad oggi, la questione si limita, da parte della ditta, alla richiesta del pagamento del milione e mezzo di euro (oltre interessi e rivalutazione), in quanto – a giudizio già  inoltrato – ha comunicato al Comune, con una nota del 30 giugno 2003, di confermare “l’accettazione” delle deliberazioni di rinnovo contrattuale, però «sciogliendo e ponendo nel nulla le riserve» espresse, quelle relative al canone di smaltimento; «conseguentemente – scrive l’amministratore unico della Tradeco srl – resta fissato in € 41,32 (-£ 80.000) per tonnellata, oltre IVA al 10 %, il costo di smaltimento dei rifiuti in discarica per il periodo 01.06.2000 – 17.02.2002».


Per il Comune, però, resta tutta in piedi, la questione (e, dunque, la causa) in ordine all’obbligo o meno di corrispondere anche tale somma, pari ad un milione e mezzo di euro, oltre interessi e rivalutazione monetaria.


La questione rischia di essere risolta (traumaticamente per le ben poco floride casse comunali) tra pochi giorni. Con una nota di qualche settimana fa, infatti, il legale del Comune, avv. Armando D’Alonzo, ha comunicato che nella prossima udienza del 29 giugno 2004 il Giudice potrebbe emanare un’ordinanza ingiunzione di pagamento, provvisoriamente esecutiva. Tradotto in termini più semplici, il Giudice potrebbe ordinare al Comune di pagare le somme che lo stesso Comune, con le deliberazioni di rinnovo contrattuale (a partire dalla prima, la n. 290 del 31.05.2000), si era impegnato a corrispondere (-£ 80.000 per tonnellata smaltita) e non ha invece effettivamente corrisposto.


L’avvocato del Comune, a tal proposito, ha eccepito in giudizio che la deliberazione n. 290/2000 e le successive non potevano mutare la condizione contrattuale relativa al corrispettivo prevista dal precedente contratto (canone fisso e non determinato in base al peso), che era stata confermata e ribadita anche nella transazione sottoscritta nel dicembre 1999 dal Comune e dalla ditta. Ma dinanzi al dato formale dell’esistenza di tali improvvide deliberazioni, l’argomento risulta debole, debole sino a che quelle deliberazioni restano formalmente in piedi. In più occasioni, l’ultima nella nota menzionata dell’11 maggio 2004, ha suggerito ed invitato l’Amministrazione comunale a procedere all’annullamento in autotutela di tali deliberazioni, che rappresentano l’unico appiglio formale che consente alla ditta di esigere il pagamento della somma contestata.


Con estremo ritardo, l’Amministrazione comunale ha avviato un procedimento di verifica della legittimità  delle menzionate deliberazioni: lo ha fatto con una nota del 7 giugno 2004 a firma del Dirigente del Settore Ambiente (Urbanistica) indirizzata alla Tradeco, a cui è stato assegnato un termine di 10 giorni per presentare memorie e documenti. La ditta ha presentato le sue osservazioni con una nota del 21 giugno 2004, mettendo in guardia l’amministrazione dall’adottare eventuali provvedimenti di revoca o di annullamento delle deliberazioni in discussione. Un’eventuale revoca o annullamento – contesta la ditta – sarebbe illegittimo sul piano amministrativo ed inutile sul piano civilistico; inoltre, arriva ad ipotizzare, «il tardivo e strumentale annullamento di tali provvedimenti si appaleserebbe francamente illecito anche sotto il profilo della truffa contrattuale, di cui all’art. 640 del codice penale, nella forma aggravata data dalla rilevanza dell’importo, pacificamente configurabile nel caso in cui uno dei contraenti serbi maliziosamente il silenzio su circostanze suscettibili di invalidare il negozio».


Ebbene, sin qui la ricostruzione, direi storica, di una vicenda amministrativa che rischia, se non affrontata e risolta tempestivamente, di avere gravi ripercussioni sul bilancio comunale appena approvato.


Due dati sono certi: 1) pur tardivamente, un procedimento di verifica della legittimità  di quelle deliberazioni è stato avviato e, secondo le regole del procedimento amministrativo, va concluso;  2) trattandosi di deliberazioni di giunta comunale, dovrà  essere il medesimo organo amministrativo, vale a dire la giunta comunale, a determinarsi in merito alla conferma della legittimità  o all’annullamento in autotutela di tali provvedimenti.


Con la presente nota, Vi invito pertanto a determinarVi in tempi stretti, in modo da mettere in condizione l’avvocato dell’ente di fornire elementi ulteriori di valutazione al Giudice nell’udienza prossima.


 A tal fine, mi permetto, conclusivamente, di sottoporre alla Vostra valutazione due argomenti o motivi che depongono nel senso della illegittimità  delle deliberazioni di giunta menzionate:


 1)      Tali provvedimenti appaiono in contrasto con la disposizione di cui all’art. 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993 n. 537 (nel testo sostituito dall’art. 44 della legge 23 dicembre 1994 n. 724) che così recita: «Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà  di procedere alla rinnovazione». Una deliberazione con la quale si dispone la rinnovazione di un contratto prevedendo un canone di 80.000 lire per tonnellata di rifiuti smaltiti, originariamente non previsto, difficilmente risponde a quelle “ragioni di convenienza” di cui parla e che esige la norma. In ogni caso, le deliberazioni in esame si rivelano, sotto tale profilo, carenti di motivazione.


2) Tali deliberazioni appaiono in palese contrasto con l’art. 27, comma 6, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 che così recita: «I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi delle amministrazioni statali, stipulati a seguito di esperimento di gara, in scadenza nel triennio 2000-2002, possono essere rinnovati per una sola volta e per un periodo non superiore a due anni, a condizione che il fornitore assicuri una riduzione del corrispettivo di almeno il 3 per cento, fermo restando il rimanente contenuto del contratto». Poiché la fattispecie in esame ricade ampiamente nell’ambito di applicazione di tale norma (i quattro rinnovi contrattuali sono stati infatti deliberati nei mesi di maggio e novembre del 2000 e del 2001), appare di tutta evidenza che i rinnovi contrattuali deliberati dalla giunta, prevedendo un aumento e non certo una diminuzione del canone  di smaltimento, non rispondevano alla “condizione” (di ordine pubblico economico) a cui la legge subordinava la possibilità  di rinnovo, cioè la “riduzione del corrispettivo di almeno il 3 per cento”. È pur vero che tale norma è stata abrogata dall’art. 3, comma 166, della legge 24 dicembre 2003, n. 350; ma, secondo un noto principio giuridico, la legge è quella del tempo dell’atto. Alla luce di tale normativa, dunque, va verificata la legittimità  dei rinnovi contrattuali in esame.


 


Vi rinnovo l’invito a valutare attentamente la vicenda e soprattutto a determinarvi con la necessaria urgenza, avvalendovi della doverosa collaborazione dei dirigenti comunali (utile sarebbe un parere sulla questione, tutta giuridica, dell’avvocato-dirigente del Settore Contenzioso) e degli avvocati dell’ente.


Lo sforzo ricostruttivo condotto in queste pagine e nei tempi estremamente ridotti a disposizione (appena un giorno!) va nella direzione di agevolare il lavoro e le determinazioni della Giunta e soprattutto si pone l’obiettivo di porre in essere tutte le iniziative possibili di tutela e difesa delle prerogative dell’ente comunale e dell’interesse collettivo. A tanto, credo, è tenuto un consigliere comunale.


I miei più distinti saluti.


 Altamura, 25 giugno 2004


 


Dr. Avv. Enzo Colonna (consigliere comunale)


 


 


P.S.: in allegato, una breve rassegna di giurisprudenza in tema di rinnovi contrattuali da parte della Pubblica Amministrazione.


[clicca qui per leggere o scaricare la rassegna giurisprudenziale allegata al documento]