La valenza metaforica dello sport

 

Della valenza metaforica dello sport, del calcio in particolare, tanto e tanti hanno detto e scritto. Pure libri. Ma la partita di ieri e i suoi protagonisti forniscono argomenti, facili facili ma veri, che mi piace sottolineare. Valgono in tanti ambiti della nostra vita: dalla politica all’economia, dalle relazioni tra persone in ambito familiare e sociale a quelle negli ambienti di lavoro. Metafora, appunto.
Ogni avanzamento, ogni conquista, ogni risultato, in questo caso indubbiamente una bella partita, oltre il “chi passa il turno”, si ottiene solo da una situazione di sano conflitto, da contrapposizioni dialogiche, di lotta tra il possibile (il tuo) e l’impossibile (nel caso, la forza che mette in campo la squadra avversaria). Se in campo si mettono calcolo, opportunismo, convenienza, pura rappresentazione, non viene nulla di buono. Invece, ieri, la partita è stata bella, anzi, per essere più preciso, autentica, di una “intensità incredibile” (come ha ben detto quella bella figura dell’allenatore spagnolo). Si “gioca” tanto meglio e si producono risultati utili per tutti, quanto più forte e vero è l’avversario (la controparte, l’ostacolo, la difficoltà, ecc., sostituite voi, nel gioco della metafora). Altrimenti, è finzione, recita. Insopportabile e flaccido letargo.
Nessuno, dei due fronti, si è risparmiato, nessuno ha cercato la scorciatoia per la gloria personale. Ciascuno ha fatto il suo, al meglio. Tutti hanno avvertito una responsabilità. Tutti indispensabili. Tutti valorizzati per le proprie capacità e nei propri ruoli. Tutti hanno condiviso fatiche. Nessuno si è sottratto alla responsabilità che gravava sul gruppo, scaricando colpe e responsabilità su altri.
Grande merito, per un approccio mentale di questo tipo, ai due allenatori. Ed è il terzo punto. Due persone che rispettano e per questo godono di grande rispetto. Competenti e seri, quasi schivi. Lontani dal chiacchiericcio perditempo e pernicioso, da esibizionismo, da ansie di riconoscimento che non sia quello possibile e ricavabile solo con il lavoro e non per posizioni acquisite, lontani da sbalzi umorali e ansie adolescenziali di affermazione di sé. Persone che, conoscendo il lavoro e la fatica che questo esige, sono i primi, umilmente, a rispettare e riconoscere il lavoro e le capacità altrui e di ciascuno; bravi ed efficaci perché capaci farne elemento di forza collettiva. Proprio e solo per questo – non per il ruolo o i gradi o la divisa indossati – “leader”, con espressione che non mi convince, ma diffusamente utilizzata in tanti ambiti della convivenza tra persone.
Ultima sottolineatura in chiave metaforica. La figura del calciatore spagnolo Dani Olmo, il migliore in assoluto in campo ieri. Era in stato di grazia per tutti i centoventi minuti giocati. Il suo, però, è stato uno dei due rigori falliti dagli spagnoli. Nel suo caso, davvero malamente. Viene meno, solo per questo la grandezza della sua prestazione? No, di certo, almeno per me. Resta tutta, ma che misteriosa e straordinaria potenza evocatrice in quel rigore di molto sopra la traversa! Ci ricorda, anch’esso, che non siamo infallibili, la nostra fragilità. Grandi e piccoli.