NOI SIAMO ALTRO!!

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Editoriale del periodico Free, marzo 2007.

 

 

A CHI AFFIDIAMO I NOSTRI SOGNI

di Ivan Commisso

 

I fanghi inquinanti sversati in pieno parco nazionale che aspettano ancora la bonifica, il pane tipico impastato con farine di dubbia qualità, la vicinanza del più grande impianto di presunto compostaggio d’Europa (sequestrato dalla magistratura), l’unica radio del mondo occidentale censurata a priori dagli inquirenti e messa a tacere dalla sera alla mattina, l’unico stadio sul globo chiuso per "festività  patronale Madonna del Buoncammino", lìunico comune dell’Unione Europea dove un consiglio comunale vota un ordine del giorno, in seduta segreta, volto a monitorare l’attività degli organi di informazione locali. E poi: il più alto tasso di richieste di condoni della Penisola, uno dei bassi indici italiani di raccolta differenziata, l’unico Comune dove la maggioranza al governo non vede non sente non parla e nomina da sè gli organi di verifica e controllo del proprio operato, l’unico municipio dove un sindaco liquida come chiacchiere, voci, quisquilie, pinzillacchere il fermo di un suo assessore pescato con un bustone di soldi addosso, l’unica squadra di governo cittadino in cui se hai una lottizzazione da costruire ti fanno assessore.

E’ la fotografia di Altamura, quella che risalta sugli organi di informazione. Un giorno sì e l’altro pure. Ma, fin qui, forse qualcuno ha ritenuto che la condizione della vita pubblica della nostra città fosse solo grave ma non seria. E invece chi, minimizzando, ha giustificato, ha chiuso un occhio, ha liquidato tutto come quisquilie e pinzillacchere, si è sbagliato. Clamorosamente. Quando a un giornalista scomodo rompono le ossa e bruciano la macchina e ad un altro la sabotano, quando un pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, Desirè Digeronimo, indaga ufficialmente sull’ipotesi di intreccio tra criminalità, politica e affari esistente ad Altamura (l’indagine si avvale anche delle dichiarazioni di un pentito), allora vuol dire che la situazione è anche dannatamente seria. Altro che le quisquilie e pinzillacchere di chi non vede non sente non parla.

Il cancro che la città porta nel suo corpo è da tempo al lavoro e quel che si vedono sono metastasi. In pochi denunciano da anni il corso delle cose, per molti la questione semplicemente non esiste. Chiacchiere, quisquilie, pinzillacchere: non disturbate il manovratore. Anche se mettono a tacere il dissenso, anche se ti massacrano di botte in pieno giorno per far vedere quanto vali tu e quanto valgono loro. Anche quando ti bruciano l’auto e qualcuno lassù decide se sei importante o meno a seconda di quanto veloce è il rilascio della concessione edilizia che ti interessa.

Ma davvero qualcuno crede che siano quisquilie e pinzillacchere precompilare diciotto foglietti con tre nomi e cognomi variamente combinati, passarli ai consiglieri comunali di maggioranza (compreso il sindaco che non vede non sente non parla) ed eleggere così l’intero collegio dei revisori contabili del Comune, senza sentire non dico la decenza ma almeno il pudore di riconoscere che la minoranza è parte integrante della vita democratica? È quisquilia e pinzillacchera vedere il deprimente spettacolo di un sindaco che in trasmissioni televisive (magari a pagamento pubblico!) lancia messaggi allusivi e denigratori contro esponenti di minoranza, rei di essere l’unico ostacolo tra la realtà e il paradiso promesso? È questione da nulla subire il linguaggio greve di un primo cittadino che non fa nomi e cognomi ma manda a dire, dà ad intendere, lancia segnali in codice? È quisquilia o pinzillacchera aver sentito con queste orecchie, all’indomani del pestaggio estivo ai danni del conduttore di Radio Regio, un collaboratore stretto del sindaco e un importante assessore mettere in dubbio l’aggressione, ritenerla finanche una simulazione o, nella migliore delle ipotesi, una «presunta aggressione»? Ancora: è quisquilia, pinzillacchera o involontaria comicità sentir dichiarare ad un presidente del consiglio comunale che «in consiglio non si fa politica» (vedi lo scorso numero di questa rivista)? E, di grazia, quale capocomico ha suggerito al sindaco la frase finale della lettera inviata al Prefetto e al Comando Provinciale dei Carabinieri con cui è stata chiesta (tardiva) protezione per Dipalo, nella quale si legge «detti episodi (l’incendio dell’auto del giornalista, ndc) potrebbero essere stati favoriti dal tono politico non corretto di alcuni rappresentanti politici locali» se è vero che è dalla sua parte politica e da egli stesso che giungono gli attacchi più duri al giornalista in questione? Non è quisquilia né pinzillacchera ma pura e semplice verità che il primo cittadino in persona, del resto, pochi mesi prima abbia stanziato fondi pubblici e di tutti per pagare un noto avvocato barese per agire, in sede penale o civile, contro le critiche e le accuse rivoltegli da Dipalo, come un novello Re Sole che, investito della carica sindacale per volere di Dio, non può distinguere tra se stesso e la sua funzione di rappresentanza. Insomma, è Totò o sono i nostri amministratori a scrivere, in una prima stesura e nel pieno del fragore mediatico dell’apertura dell’inchiesta della Direzione Antimafia su Altamura (ripetiamo: si ipotizza un intreccio tra criminalità, politica ed affari), che «ogni affermazione lesiva della sola immagine della città di Altamura sarà sicuro oggetto di censura nelle sedi giudiziarie competenti»? Per costoro è più importante la loro faccia della sostanza, di chi siamo, di dove va la comunità che amministrano. Per costoro, per moltissimi, è tutta una voce, una quisquilia, una pinzillacchera.

Per me, per noi NO! Noi, da questi qui, siamo diversi e distanti. Noi siamo altro da chi condiziona, picchia, intimidisce, usa violenza, si rifugia dietro l’allusione, minimizza, giustifica, seda. La nostra cifra è fatta di errori, incertezze, cantonate ma con gli occhi lucidi di chi, con emozione, si ribella al corso delle cose che altri hanno deciso con la forza.

 

Vorrei stendere il mio mantello sotto ai tuoi piedi

Ma sono povero

Ho solo i miei sogni

Ho steso i miei sogni sotto ai tuoi piedi

Cammina con passo lieve

Perché cammini sui miei sogni

(W.B.Yeats)

 

 

Ivan Commisso

 

 

 

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Intervento pubblicato da Comunità in cammino, giornale delle Parrocchie di Altamura, febbraio 2007.

 

 

ALLA RICERCA DELLA CITTADINANZA PERDUTA

di enzo colonna

 

Noi consideriamo la libertà un fatto scontato, una questione risolta. Non sentiamo il bisogno (salvo qualche breve inquietudine o lamento) di scendere in piazza per rivendicare ed esigere una libertà maggiore o più completa. Tendiamo pure a credere di non poter fare molto “individualmente o assieme agli altri“ per cambiare il modo in cui vanno le cose.

È possibile che l’aumento della libertà individuale coincida con l’aumento dell’impotenza collettiva in quanto i ponti tra vita pubblica e vita privata sono stati abbattuti o non sono mai stati costruiti oppure perché si stenta a tradurre le preoccupazioni private in questioni pubbliche ed a identificare e mettere in luce le questioni pubbliche nei problemi privati.

L’opportunità di mutare questa condizione dipende dal recupero di una agorà: uno spazio né privato né pubblico, ma più esattamente privato e pubblico al tempo stesso. Lo spazio in cui i problemi privati si connettono per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalle miserie, dalle difficoltà e dalle sofferenze vissute privatamente; lo spazio in cui possono nascere e prendere forma idee quali "bene pubblico", "società  giusta", o "valori condivisi". Il problema è che oggi è rimasto poco degli antichi spazi privati/pubblici e, a dire il vero, non se ne intravedono di nuovi idonei a rimpiazzarli.

La caratteristica più evidente della politica contemporanea – rilevò già alcuni anni fa un filosofo – è la sua insignificanza: «i politici sono impotenti … non hanno più un programma … ambiscono solo a rimanere in carica». Questa politica elogia e promuove il conformismo. E al conformismo si può arrivare anche da soli; non c’è bisogno della politica per uniformarsi. «Perché sopportare politici che non possono promettere niente di diverso?»

La stessa idea di libertà individuale può essere concepita e definita solo pensando al risultato di un incontro tra diversi, al prodotto di un impegno comune e, in quanto tale, può essere difesa e garantita solo collettivamente. Nondimeno, oggi "tendiamo alla privatizzazione dei mezzi per assicurare, tutelare e garantire la libertà individuale", viviamo in un periodo di privatizzazione dell’utopia e dei modelli di bene tale per cui i modelli di "vita buona" o "vita di qualità" tendono a prevalere sul modello di "società buona" o "qualità della vita". Il vero senso della politica (coniugare privato e pubblico o, meglio, tradurre problemi privati in questioni collettive, sottraendo alla solitudine gli individui) rischia così di essere del tutto dimenticato.

Tendiamo a sentirci orgogliosi di ciò per cui dovremmo invece provare vergogna: vivere nell’epoca "postideologica" o "postutopica", mostrare indifferenza per qualunque immagine coerente di società buona e aver barattato la preoccupazione per il bene pubblico con la libertà di perseguire l’appagamento personale. Ma se anche ci fermassimo a riflettere sui motivi per cui la ricerca della felicità raramente dà i risultati sperati, per cui una sensazione di amaro ci resta sempre in bocca anche quando le voglie e gli appetiti personali vengono soddisfatti individualmente, privatamente, non andremmo molto lontano senza richiamare dall’esilio della nostra memoria o coscienza concetti quali bene pubblico, società buona, equità, giustizia, partecipazione, impegno, responsabilità, e così via. Così pure non andremmo molto lontano senza ricorrere alla politica (che attiene alla polis, alla città), senza far uso del tramite costituito dall’azione politica e senza tracciare la direzione che quel tramite dovrebbe seguire.

Le soluzioni a problemi individuali o collettivi non sono mercanzia offerta sullo scaffale di un qualche supermercato, non vengono da sé o da qualcuno. Sono l’esito di un impegno comune, uno stare insieme legato dal tessuto di responsabilità reciproche, legami e solidarietà «laterali», fondate e manifestate nel continuo dialogo. Come le cellule per rimanere in vita devono ricevere continuamente segnali di sopravvivere da parte di altre cellule, allo stesso modo, le persone per sopravvivere devono avere il riconoscimento degli altri (le "carezze" di cui parla Eric Berne). Un dialogo continuo che non punti all’unanimità, ma alla comprensione e rispetto reciproci [«la voce della coscienza, che è la voce della responsabilità, è percepibile – osserva un sociologo dei nostri tempi – solo nella discordanza di suoni dissonanti. Il consenso e l’umanità preannunciano la tranquillità del cimitero; nel cimitero del consenso universale, la responsabilità, la libertà e l’individuo esalano il loro ultimo respiro»], non alla tolleranza, ma alla solidarietà, non all’identità, ma ai reciproci benefici della differenza.

Solo in questa modalità di "vita insieme" gli individui liberi possono trovare sicurezza senza sacrificare la loro libertà. È nell’antica agorà (la piazza, il luogo dei raduni e degli incontri, lo spazio della democrazia), luogo privato e pubblico al tempo stesso, che si potrà tornare a parlare ed agire, ad interrogarsi, a trovare risposte, a rinsaldare legami, a coltivare speranze possibili ed ad essere speranza per altri quando questo possibile non si realizza per sé, a confermare reciprocamente l’impegno che Camus attribuiva alla propria generazione e che è ancora dell’attuale: "impedire che il mondo si sfasci". Solo così anche le sofferenze private potranno essere pensate e vissute come problemi condivisi, comuni, quindi politici.

 

enzo colonna